E: siamo arrivati alla E. Quella che scende in campo in questi mesi, infatti, è la quinta versione del Challenger MT, l’arcinoto trattore cingolato di casa Agco. Una macchina che prende a piene mani dalla precedente (e recente) serie D, alla quale è spettato un ruolo da meteora. Presentata circa un anno fa, è già stata rimpiazzata; più che altro per questioni di normative ambientali. La gamma E, comunque, porta avanti gli stessi principi, staccandosi invece nettamente dalla serie C.
Le novità più importanti introdotte con gli ultimi Challenger sono, per cominciare, nel motore, che è Tier 4F, e poi nel carro e nella larghezza dei rulli, ma anche nel sollevatore, mentre resta praticamente invariata la cabina. Abbiamo avuto in prova un MT 775E da 405 cavalli nominali, che abbiamo messo al lavoro, in provincia di Piacenza, con un preparatore combinato della Ma-ag.
Sette cilindri, 438 cavalli
Partiamo dalla novità principale del restyling: il motore è, come già sulla serie D, un Agco Power; ma in questo caso abbiamo non il 6 cilindri Scr da 8,4 litri, bensì un innovativo 7 cilindri AP98-4 da 9,8 litri. Emissioni Tier 4F, come anticipato. Partiamo proprio da queste ultime. Naturalmente, Agco Power resta fedele al sistema Scr, che peraltro ha introdotto per primo sui motori agricoli. Abbiamo, quindi, il solito catalizzatore all’urea con filtro Doc sistemato prima del tubo di scarico. Non è però sufficiente a rispettare l’ultimo gradino della normativa Tier/Euro; così gli ingegneri finlandesi hanno aggiunto anche un impianto di ricircolo esterno (e parziale) dei gas di scarico, denominato Cegr. Parliamo di ricircolo parziale perché, ci hanno spiegato, si attiva soltanto quando il motore gira a basso regime e non raggiunge le temperature necessarie per bruciare tutto il particolato contenuto negli scarichi. In queste situazioni, il Cegr riporta una parte degli scarichi (fino a un massimo dell’8%) dentro il circuito di alimentazione del motore. Dunque, anche nelle condizioni più sfavorevoli, la quota di gas già combusti che torna nei cilindri è inferiore al 10%. Sempre allo scopo di mantenere la corretta temperatura di esercizio, infine, è stata aggiunta al motore Scr una valvola a farfalla che evita l’ingresso di aria in eccesso a bassi regimi, evitando un raffreddamento del catalizzatore (il cui volume è aumentato del 30%) che impedirebbe la reazione tra gas e urea. Il risultato di tutto questo è un motore che, sulla carta, dovrebbe essere reattivo come la precedente versione inquinando molto meno. La potenza nominale è di 405 cv (298 kW), mentre quella massima arriva a 438 cavalli (322 kilowatt). Stratosferica la coppia massima: 1.921 Nm a 1.500 giri, con il 42% di riserva di coppia.
Cambio: sempre powershift
Non vi sono particolari novità sul fronte del cambio, che resta un powershift di concezione americana, con sedici rapporti in avanzamento e quattro retromarce. Tutti inseribili in sequenza e senza toccare la frizione. La sequenzialità segue un doppio parametro: rapporti ravvicinati tra 6,5 e 15 km orari (ne troviamo ben otto in questo intervallo) e distanziati oltre la 12ma marcia, per rendere più fluidi i trasferimenti su strada, dove l’MT 775E arriva a 39,6 km orari. Disponibile anche, a richiesta, il superiduttore.
Passiamo al carro e ai cingoli, sistema che Challenger ha battezzato Mobil Trac. Si compone di una ruota motrice di ampio diametro (il maggiore della categoria, sostiene la casa costruttrice) con scanalature per facilitare l’espulsione del fango e aumentare la presa sui nastri, cui si aggiungono una ruota anteriore da 94 cm di altezza e di tre rulli intermedi. La tensione dei cingoli è garantita da un braccio in linea con 71 kN (circa 720 kg) di forza applicata. La larghezza delle ruote tendicinghia, motrici e intermedie varia in base alle esigenze del cliente, così come la dimensione dei cingoli. Grazie a questa variabilità di parametri, la carreggiata può andare da 1,8 a 2,2 metri oppure – se si sceglie la versione larga – da 2 a 3 metri. A seconda della mescola e del sistema di talloni, i cingoli si distinguono in generici o Hd per agricoltura oppure ad alta resistenza per applicazioni diverse. Questi ultimi, oltre ad avere talloni più alti, hanno uno strato supplementare di cavi d’acciaio al loro interno. La larghezza dei cingoli per applicazioni agricole è compresa tra 16 e 34 pollici (da 419 a 864 mm).
La macchina è fornita anche di un sistema di sospensioni, denominato Opti-Ride, con due molle Marsh Mellow su un assale centrale: consentono ai cingoli un movimento indipendente, in modo da migliorare il comfort in cabina anche su terreni accidentati e pendenze trasversali. In particolare, le molle in gomma/tessuto attutiscono gli urti, mentre la barra stabilizzatrice centrale permette il movimento indipendente dei sottocarri, con un’inclinazione che arriva a 8 gradi.
Idraulica da 320 litri
Completiamo la prima veloce descrizione del nostro MT 775Econ l’impianto idraulico. Alimentato, di serie, da una pompa load sensing con 224 litri al minuto di portata, ma che può montarne anche una da 321 l/min. Con questo flusso impressionante si azionano quattro (con un massimo di sei) distributori elettroidraulici posteriori e un sollevatore da circa 170 quintali di portata massima (130 kN), naturalmente elettronico. Tra le novità della serie E troviamo una barra di traino più robusta, di categoria IV al pari del sollevatore. Non dimentichiamo, infine, la presa di potenza, con mille giri di rotazione come unica scelta; soluzione peraltro appropriata visto il tipo di attrezzi che si abbinano a una macchina di questa dimensione.
In prova
Abbiamo avuto in mano per un giorno un MT 775E, usato come macchina prove da Agco Italia e dunque già ampiamente slegato (e sfruttato…). Lo abbiamo usato con un preparatore combinato da 3,2 metri della Ma/ag. Attrezzo che, se ben piantato, crea qualche grattacapo anche ai trattori più potenti, soprattutto su un terreno tenace come quello dell’Emilia Romagna. In questo caso, però, abbiamo lavorato su un campo perfettamente in tempera e non compattato, per cui – a parte qualche punto difficile – il trattore non ha incontrato grandi ostacoli. Il Challenger ha potuto così esprimersi al meglio: abbiamo infatti tenuto una velocità media tra i 9,5 e i 10,5 km orari, oscillando tra undicesimo e dodicesimo rapporto powershift.
Il motore, insomma, c’è e migliora leggermente le prestazioni della serie D. Fa però un deciso passo avanti rispetto alla serie C, equipaggiata con Caterpillar. Notevole, soprattutto, la coppia a basso regime (coppia massima a 1.500 giri), che migliora non soltanto le prestazioni della macchina, ma anche i consumi, dal momento che si riescono a sfruttare fin da subito le potenzialità del motore. Certo, con un cambio a variazione continua, gestito elettronicamente e in costante dialogo con il motore, i risultati sarebbero ancora migliori. Anche il Challenger ha un sistema di questo tipo, grazie al terminale Tms (Tractor management system). Due le strategie di guida: Maximum Power o Constant ground speed. La prima ottiene, come si intuisce, il massimo delle prestazioni, mentre la seconda mantiene fissa la velocità ed è utile per tutte quelle operazioni che richiedono un’andatura stabile senza un grosso carico del motore. Tuttavia il sistema si appoggia su un cambio powershift mentre sulle macchine di alta potenza si ha ormai, come optional o più spesso come trasmissione di serie, la Cvt. Dunque, tocca all’operatore decidere la miglior combinazione tra regime e marcia.
Il cambio conferma comunque il miglioramento già notato con la serie D: è più fluido e non trasmette colpi alla macchina nei passaggi di rapporto sotto carico. Inoltre è ben organizzato. Interessante, anche, l’automatismo che stacca il rapporto quando il motore è sottoposto a sforzo eccessivo: in questo modo diventa quasi impossibile far spegnere la macchina.
Tra i progressi evidenti – comunque già presenti sulla serie D – segnaliamo i riduttori di maggior dimensione e la barra di traino rinforzata: ora è sufficientemente robusta per trainare i preparatori combinati e altri attrezzi che richiedono una grande forza di strappo. Buono anche il sollevatore: il controllo dello sforzo non è un punto di forza del Challenger, ma con tutti questi cavalli e la trazione affidata a una cingolatura lunga due metri e mezzo e larga 70 cm, non c’è molto da controllare.
Passiamo alla cabina, rimasta sostanzialmente identica alle versioni precedenti, ma spostata un po’ avanti grazie al ricollocamento del serbatoio del gasolio. Sarà per questa soluzione, sarà per gli ammortizzatori Opti-Ride, sta di fatto che le vibrazioni sono ridotte; lo stesso vale per la rumorosità, che finalmente non appare eccessiva. Resta, invece, qualche perplessità sull’impianto di condizionamento e sulla visibilità. In particolare, per quella grande marmitta con filtro Doc che impedisce di vedere dove va il cingolo destro. Il che, in aratura, potrebbe rappresentare un problema.
Parte integrante del nuovo Challenger è anche, come ovvio, l’elettronica. Abbiamo “giocato” un po’ con il terminale, trovandolo chiaro e di semplice impostazione. Richiama molto lo stile Agco, in ogni caso. La gestione dei parametri di lavoro – che possono essere la portata e il timer dei distributori oppure il regime massimo del motore – è abbastanza semplice. In più abbiamo un sistema di manovre a fine campo che consente di automatizzare le operazioni frequenti. Non possiamo dimenticare, nemmeno, il dispositivo per la guida automatica satellitare: praticamente d’obbligo, ormai, sui grandi trattori.
In conclusione l’MT 775E ci è sembrato un ottimo cingolato, con un gran motore e una bella fluidità di guida. Pone rimedio ad alcuni inconvenienti delle serie precedenti e ha, a nostro giudizio, un solo vero difetto: non ha ancora, nemmeno come optional, una trasmissione a variazione continua.