In soli vent’anni il caricatore telescopico, precedentemente confinato alla cantieristica, ha di fatto conquistato un suo spazio in agricoltura, trovando una forma di convivenza con il “tradizionale” caricatore portato frontalmente. Quest’ultimo è riuscito a mantenere una propria quota di mercato soprattutto in virtù dell’automazione e dei controlli elettronici, insieme al fatto di poter essere accoppiato al trattore standard, dunque riducendo il costo rispetto a un mezzo dedicato.
Ma dove si richiede la massima capacità di lavoro, soprattutto in spazi ristretti – come nello stivaggio delle balle in fienile – o un’elevata maneggevolezza, il telescopico è una soluzione vincente. Anche qui, però, bisogna confrontarsi con i costi orari, che rendono realmente conveniente la macchina specifica solo al di sopra di una certa soglia, oppure quando si richiedono prestazioni (altezza, sbraccio e portata) incompatibili con il caricatore frontale.
Dove esistono le motivazioni tecniche, si può ragionare di costi, ma non viceversa: il telescopico è e resta un mezzo costoso, perché concentra in poco spazio un vero “pieno” di tecnologia. Se diamo un’occhiata al mercato, osserviamo che i listini sono fortemente influenzati da due variabili principali: il carico massimo sollevabile e la media fra sbraccio e alzata, che definiscono in modo netto le varie classi prestazionali ed i relativi prezzi di vendita. Com’è ovvio, le portate più modeste, così come gli sbracci e le altezze minori, caratterizzano i telescopici che si rivolgono principalmente alle aziende agricole, con o senza bestiame.
Per contro, le macchine con migliori prestazioni possono interessare i contoterzisti che si sono specializzati nella raccolta di paglia e foraggi, o che fanno essiccazione e stoccaggio di cereali. In quest’ultimo caso, tuttavia, la semplice movimentazione su piazzale trova una temibile concorrenza nelle pale articolate industriali.
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