Dopo aver interpellato, sul numero scorso, il responsabile del gruppo Arbos, continuiamo a occuparci di trattori asiatici con un marchio che, pur essendo presente nel nostro paese dal lontano 1989, è esploso commercialmente nell’ultimo decennio, grazie anche alla creazione della gamma M7, che raggiunge i 180 cavalli ed è stata progettata per il mercato europeo.
Di conseguenza, un gruppo che fino alla metà del decennio era stato guardato con scarsa attenzione dai concorrenti, ha iniziato a far paura. Tanto che, secondo voci di concessionaria, contro Kubota si sarebbe attivata una specie di ostracismo: mentre prima nessuno ostacolava una richiesta di coabitazione, oggi per gli “arancioni” le porte sono chiuse. Ma è un po’ come chiudere le porte della stalla quando i buoi sono già a spasso. In primo luogo perché, nel frattempo, Kubota Italia ha creato una rete di rivenditori che copre la larghissima parte del territorio. Secondariamente, perché ormai i trattori di Osaka sono protagonisti a pieno titolo della meccanica agricola italiana. E capita quindi che non sia Kubota a cercare nuovi concessionari, ma i concessionari a cercare Kubota. «In effetti avviene con discreta frequenza. Mentre in passato non avevamo una gamma e una diffusione tali da suscitare l’attenzione di un rivenditore strutturato, oggi più di uno si è detto interessato a far parte della nostra rete», ci spiega Luca Romagnoli, direttore commerciale della divisione Trattori. Con cui parliamo, come di consueto, di rete e problemi a essa connessi.
In medio stat virtus
Partiamo, alle solite, dai numeri: quante concessionarie e distribuite come? «Dobbiamo distinguere: Kubota ha una rete agricola e una per la cura del verde, che vende trattori compatti e rasaerba. Tutto incluso, abbiamo 75 rivenditori. Di cui 45 agricoli».
Un buon numero. Soddisfatti? «Sì: sono ormai pochissime le province in cui non siamo presenti. Il nostro obiettivo era arrivare a circa 40 concessionarie e visto che per cinque delle attuali l’agricolo è un mercato molto marginale rispetto alle macchine garden, direi che lo abbiamo raggiunto».
Non siete in cerca di nuovi dealer, insomma. «No, non vogliamo aumentare ancora i numeri, anche per motivi di sostenibilità aziendale. Vogliamo che i nostri concessionari abbiano un bacino d’utenza sufficiente a fare utili».
Se si proponesse qualcuno in una provincia in cui siete scoperti? «Ovviamente valutiamo tutte le offerte di collaborazione. Con il metro del mercato potenziale. Dal momento che abbiamo come obiettivo il 10% del mercato, cerchiamo di fare in modo che ogni nostro venditore abbia un bacino di circa 400 macchine, così che possa raggiungere quelle 40 immatricolazioni annue che, a nostro avviso, permettono la sopravvivenza di una concessionaria moderna».
Verso il Kubota-style
In alternativa, per fare bilancio potreste consentire al concessionario di vendere un altro marchio. «Non siamo contrari, in linea di principio. Tuttavia giudico assai improbabile che una nuova acquisizione possa vendere Kubota e anche un marchio concorrente».
Motivo? «Indisponibilità dei concorrenti».
Quindi quale sarà il vostro impegno nel prossimo futuro? Completare la copertura del territorio? «Sì, con i criteri detti sopra. Soprattutto, però, stiamo lavorando – e lavoreremo ancora – per far crescere i partner che abbiamo: dobbiamo trasmettere ai concessionari il cambio di passo di Kubota».
Ovvero? «All’inizio ci conoscevano in pochi. Grazie alla qualità dei nostri prodotti, al passaparola e alla buona volontà dei dealer, che hanno fatto centinaia di prove in campo, siamo arrivati al 6% del mercato. A questo punto, i vertici hanno deciso di cambiare ritmo: più investimenti nel brand, nella promozione, nella gestione del sito. Chi ha visto il nostro stand all’Eima sa cosa intendo».
E i concessionari, di conseguenza… «Un agricoltore che ha visitato il nostro stand in fiera si aspetta una concessionaria in linea con quell’impostazione. Per questo spingiamo i dealer a brandizzarsi, a seguire le linee guida di Kubota per la sede e lo show room. Usare lo stesso logo e gli stessi colori in tutta Europa comunica solidità e conferisce alla rete un senso di ufficialità. In più vi sono gli strumenti tecnologici: pagine pubblicitarie pre-impostate e un software che fa in modo, se si digita “Kubota trattori” in un qualsiasi motore di ricerca, di far comparire la pagina del concessionario di zona in cima ai risultati».
Che ne pensano i diretti interessati? «È un processo che richiede tempo per essere metabolizzato, ma molti hanno capito il senso di quel che facciamo e si stanno attivando di conseguenza. Chiaramente da parte nostra non ci sono imposizioni ma soltanto suggerimenti. Non vogliamo entrare nelle dinamiche aziendali, ma soltanto favorirne la crescita. Per esempio, con la formazione: corsi per venditori, per tecnici dell’assistenza eccetera».
Full line di prestigio
Di fronte all’oggettiva impossibilità di convivere con altri marchi, ci spiega Romagnoli, Kubota si è posta il problema di come far quadrare i bilanci dei suoi concessionari. Anche perché, al momento, la gamma si ferma a 180 cavalli: un po’ pochi per accontentare tutte le esigenze del mercato italiano. «È vero ed è per questo che la gamma sarà completata con i modelli mancanti. Lo faremo mantenendo però la nostra filosofia: non avremo decine di modelli e versioni per una stessa classe di potenza. Tuttavia offriremo una valida soluzione in ogni segmento. Se oggi, con pochissimi modelli e poche versioni, siamo al 6% del mercato, ampliando la gamma faremo un ulteriore salto in avanti».
Torniamo ai bilanci da far quadrare. «L’attivismo di Kubota in questi ultimi anni è abbastanza evidente ed è motivato dalla necessità di offrire un più ampio ventaglio di prodotti alla rete vendita. Vanno in questa direzione, per esempio, l’accordo con Escort per una gamma di macchine basiche. Oppure la joint venture Usa con Versatile o ancora l’acquisizione di Great Plains (maxi seminatrici, ndr), di cui vedremo gli effetti ad Hannover. Non dimentichiamo nemmeno la creazione di una gamma di telescopici: ufficialmente sono per il settore edile, ma si adattano molto bene anche all’agricoltura».
Senza dimenticare Kverneland, che vi ha portati molto vicini alla full line. «Certamente. Al riguardo, la politica di Kubota per l’Europa è stata da subito molto chiara. Si è scelto di mantenere nell’orbita di Kverneland i cosiddetti Orange Implements, ovvero le attrezzature con i colori di Kubota. Che sono un’esclusiva della rete Kubota. Quindi le attrezzature arancioni sono vendute dalle filiali Kverneland e possono essere acquistate e distribuite soltanto dalle concessionarie Kubota. In questo modo si mantiene la forza commerciale di Kverneland e si evitano fraintendimenti di ogni tipo».
Chiedete ai vostri concessionari di vendere questi attrezzi? Arriverete a pretendere che siano i soli trattati? «Come ho detto, non abbiamo un approccio rigido, in nessun caso. Ma è chiaro che per noi è importante promuovere il marchio, per cui invitiamo la rete a considerare le attrezzature Kubota. Trattandosi di macchine Kverneland, parliamo prodotti di prima qualità, che aiutano anche a vendere i trattori, con cui dialogano alla perferzione, poiché montano la stessa tecnologia. Molti lo hanno capito e hanno iniziato a proporli ai clienti. Tuttavia sappiamo che alcuni dealer sono legati da rapporti pluriennali con altri marchi e sarebbe miope imporre loro di rinunciarvi».
Garanzia, assistenza, servizi
Anche Kubota spinge per l’estensione di garanzia e la manutenzione programmata, come fanno ormai tutti? «Diamo già tre anni di garanzia, su tutta la gamma, da 60 a 180 cv. Per noi l’estensione significa 5 anni di garanzia, che coincidono con la durata del leasing. Per quanto riguarda i tagliandi programmati, sono convenienti perché, innanzitutto, assicurano l’accesso alla garanzia. In secondo luogo, hanno un prezzo concorrenziale e infine mantengono alto il valore dell’usato. Quindi non sono così costosi per l’agricoltore. Se il concessionario riesce a spiegare questi concetti, si assicura un guadagno aggiuntivo e soprattutto mantiene un rapporto con il cliente, che altrimenti non rivedrebbe per anni».
C’è sempre l’assistenza. «Che per un giapponese è sacra. Ma siccome i nostri trattori si rompono pochissimo, non possiamo contare su di essa per mantenere il rapporto».
Come vede la concessionaria agricola tra vent’anni? «Più grande e strutturata, se imiteremo il trend del settore automobilistico. E più professionale, nonché molto attenta all’after market e a tutto ciò che permette di sostenere i costi della vendita del trattore, che sono sempre maggiori. I dealer più avanzati iniziano già a offrire servizi di vario tipo, per fidelizzare il cliente. In prospettiva, in concessionaria troveremo servizi agronomici, finanziari, di gestione del parco macchine ecc.
Detto questo, non so se andremo verso un futuro fatto di pochi grandi dealer privati oppure di aziende medie che fanno rete per mettere in comune alcune attività. A mio parere quest’ultima potrebbe essere una buona soluzione».
Chi è Luca Romagnoli
Laureato in Agraria a Milano, Luca Romagnoli lavora dapprima in Same, vivendo la fase di unificazione delle direzioni commerciali dei tre marchi, e successivamente è in forze alla Howard Rotavator Italia (in seguito ridenominata Thrige Agro Howard), un’azienda nord-europea specializzata in attrezzature.
Nel 1990 entra in contatto con la cultura nipponica lavorando, per una decina d’anni, alla Yamaha Italia, divisione Power Products. Passa infine a Kubota nel 1999.
Oggi è direttore commerciale della divisione Trattori.
Dal Giappone col dinamometro
Si chiama Kip – Kubota Inside Program – ed è uno degli assi nella manica per sorprendere gli agricoltori italiani. Il Kip, ci spiega Luca Romagnoli, prevede che un team di tecnici nipponici visiti alcuni clienti, sottoponendo a un accurato controllo i trattori in uso e rilasciando poi un certificato che attesta il corretto funzionamento della macchina. Un modo per valutare la tenuta dei trattori alle condizioni di lavoro italiane, ma anche per far colpo sui clienti, mostrando che Kubota si prende cura di loro.