Una soluzione già nota per aumentare la resa produttiva del mais, ora pienamente praticabile. grazie alla selezione genetica della semente e all’evoluzione del macchinario.
Tra i cereali maggiormente conosciuti, il mais è probabilmente la coltura che ha visto nella sua storia recente una profonda evoluzione degli usi: da risorsa nutrizionale di primaria importanza per le antiche famiglie contadine (e non…), ad alimento base dell’allevamento zootecnico, fino agli attuali impieghi a fini energetici. Una storia piuttosto articolata, caratterizzata da approfondite ricerche orientate sostanzialmente all’aumento produttivo, sia per mezzo della selezione genetica che con l’affinamento della tecnica colturale. Tra le operazioni che si eseguono normalmente nella coltura del mais, la semina riveste un ruolo fondamentale: è infatti in quell’occasione che viene determinata la densità d’impianto (anche definito investimento colturale). Non bisogna infatti dimenticare che il mais ha origini tropicali, e pertanto è una coltura che necessita di condizioni di illuminazione ottimali per poter svolgere al meglio la fotosintesi, e aumentare in tal modo il contenuto in zuccheri e amidi. Gli attuali parametri di semina possono limitare fortemente l’assorbimento radiativo: la distanza tra le file standard di 75 cm di fatto difficilmente si può ridurre, date le larghezze notevoli degli pneumatici dei trattori, specie di quelli di alta potenza sempre più frequentemente impiegati allo scopo; inoltre, le altre attrezzature tradizionali per la cura e soprattutto per la raccolta del mais hanno tipicamente una distanza di interfila fissa. Peraltro, anche la distanza sulla fila è ormai difficilmente riducibile, per non creare eccessiva competizione tra le piante. La continua richiesta di aumento della produttività ha quindi portato a cercare altre soluzioni.
Twin rows
Una novità in tema arriva dagli USA, dove la diffusione delle seminatrici pneumatiche ad interfila variabile ha portato a sviluppare la tecnica delle cosiddette twin rows, ovvero le file binate. Si tratta infatti di accoppiare due file con una distanza di circa 20-22 cm, che vanno così a formare una bina. Tra una bina e quella adiacente la distanza è di 53-55 cm, il valore complementare alla tradizionale misure di interfila di 75 cm. In tal modo, dove prima venivano seminate due file ora ce ne sono tre, con una migliore intercettazione della luce solare. Importante specificare che le piante devono essere alternate sulle due file binate, a creare in pratica una disposizione triangolare che massimizza la distanza tra ogni pianta. Si tratta in verità di una tecnica già messa a punto alcuni decenni fa, ma gli ibridi a quel tempo disponibili non mostrarono aumenti produttivi, anzi l’aumentata densità di semina creava seri problemi. In tale situazione, la pianta è infatti soggetta a uno stress maggiore per assicurarsi le risorse naturali disponibili (luce, suolo, acqua), ed è quindi più esposta all’attacco di fattori biotici e abiotici. Di recente, la ricerca genetica è riuscita invece a mettere a punto varietà in grado di aumentare l’efficienza d’uso dei fattori di crescita: è importante che gli ibridi impiegati abbiano una spiga di tipo fix, cioè che non rimpicciolisce all’aumentare della densità di semina. Inoltre è essenziale che la pianta mostri un’ottima resistenza a malattie fungine e all’azione di insetti dannosi. Altro fattore importante di selezione è l’altezza: una struttura relativamente bassa e con portamento ben verticale delle foglie sopporta infatti meglio l’elevata fittezza d’impianto.
Le peculiarità
Con le file binate e sfalsate si ottiene quindi un aumento di densità dell’impianto senza però aumentare la competizione tra le piante. La disposizione a bine non compromette l’impiego delle normali attrezzature già in possesso dell’azienda, essendo di fatto necessarie solo piccole modifiche: ad esempio, sulle sarchiatrici si deve ridurre leggermente la larghezza degli elementi lavoranti. In definitiva, una larghezza utile di 53 cm tra le bine risulta essere sufficiente per il passaggio di trattori anche di una certa potenza equipaggiati con pneumatici di larghezza tradizionale (ad esempio sino a 380-420 mm). È peraltro importante seguire con attenzione l’intera gestione agronomica, evitando pericolose forzature, come ad esempio concimazioni azotate eccessive.
Una seminatrice per file binate
Benché possa sembrare semplice, la realizzazione di una seminatrice a file binate richiede attenzione. Infatti, l’operazione più immediata sarebbe quella di accoppiare due elementi standard, sincronizzandoli tra loro per effettuare la semina sfalsata. È sicuramente una soluzione economica, che comporta però alcuni svantaggi, come ad esempio una maggiore lunghezza dell’attrezzatura (quindi con uno sbalzo aumentato). Dopo 3 anni di intensi test in campo, eseguiti in collaborazione con gli agronomi di Dekalb, la Matermacc di S. Vito al Tagliamento ha messo a punto e offerto sul mercato la seminatrice MS Twin a file binate, che presenta caratteristiche uniche nel suo genere, in grado di soddisfare sia il piccolo agricoltore che il grande contoterzista. Sulla MS Twin non c’è nessun impedimento tra le ruote di semina, mentre è agevole regolare la distanza dell’interfila senza dover essere costretti a registrare le fasature degli elementi. È disponibile in versioni da 2 a 12 file binate con interfila variabile da 70 a 75 cm e con larghezze di lavoro da 1,5 a ben 9,45 m. È dotata di due serbatoi del seme indipendenti per ogni elemento twin, con una capacità di 35 l ognuno. A richiesta è disponibile il microgranulatore Microvolumex con serbatoio da 12 l per ogni fila binata, e la tramoggia spandiconcime Variovolumex, con capacità da 215 l per la versione a 2 file fino a 1300 l (650x2) per quella a 12 file. La distribuzione è affidata al collaudato elemento pneumatico MagicSem, in grado di effettuare una distribuzione particolarmente delicata, senza maltrattamento del seme.
Articolo di Davide Giordano, pubblicato su Macchine Agricole, novembre 2013
[box title="I vantaggi" color="#FF6600"]
Il quesito è: seminando un maggior numero di piante/ha, si ottiene più prodotto (in pratica, più sostanza secca)? Se si adottano ibridi adatti ad una densità di semina più elevata, sembrerebbe proprio di sì. In una serie di test di campo, condotti in collaborazione tra la Matermacc di S. Vito al Tagliamento (PN) e la Dekalb, sono stati accertati aumenti significativi. Il passaggio dal classico valore di 7,5 a 9 piante/m² comporta un incremento di prodotto del 5% circa (che corrispondono a 500-900 kg/ha in più), mentre se si adottano le file binate il vantaggio arriva al 9%, con 800-1300 kg/ha di granella in più. Anche scorporando il maggior costo della semente (40 euro/ha per 9 piante/m² e 60 euro/ha per le file binate), il vantaggio netto rimane comunque tangibile, e quantificabile rispettivamente in 200 e 300 kg di granella/ha, agli attuali prezzi di mercato.[/box]