Il settore agroalimentare del Mezzogiorno è più “agricolo” rispetto a quello del Centro Nord, è più debole e frammentato in termini strutturali, sia nella componente strettamente agricola sia in quella dell’industria di trasformazione, è molto “senilizzato”, ma con una dinamica positiva recente dei capi azienda under 40 in agricoltura. Inoltre, risulta caratterizzato da un export in forte crescita, in cui la componente agricola è più rilevante che nel Centro-Nord. Sono alcune delle evidenze che scaturiscono dalla lettura del Rapporto sulla competitività dell’agroalimentare nel Mezzogiorno, curato da Ismea e presentato nei giorni scorsi.
Ismea evidenzia che il sistema agroalimentare meridionale è ancora fortemente orientato al mercato nazionale. Il Mezzogiorno, infatti, contribuisce alle esportazioni agroalimentari nazionali con un valore di 7,1 miliardi e una quota pari al 17,4% nel 2017, ossia in misura ridotta, rispetto al potenziale derivante dalla sua base produttiva. Un elemento confermato dalla bassa incidenza delle esportazioni sul valore aggiunto, che per il settore agroalimentare del Mezzogiorno è nettamente inferiore alla media nazionale: 37% rispetto al 64%, sebbene in misura analoga a quanto avviene per il complesso dell’economia. Tuttavia, i dati mostrano che per le imprese esportatrici del Mezzogiorno è stato possibile cogliere le opportunità derivanti dalle nuove tendenze della domanda mondiale favorevoli al made in Italy, realizzando un successo competitivo che si è tradotto nell’aumento della quota di mercato dei prodotti agroalimentari esportati dalle regioni meridionali sulle esportazioni mondiali negli ultimi cinque anni, così come avvenuto a livello nazionale.
In sintesi, nel corso del periodo successivo alla crisi, l’agroalimentare del Mezzogiorno, così come l’economia in generale, è andato peggio che nel resto d’Italia ma comunque meglio del resto dell’economia dell’area. Insomma, meglio vedere il bicchiere mezzo pieno, e non mezzo vuoto, per consolidare le legittime ambizioni di crescita degli operatori meridionali.
Il comparto agroalimentare è centrale nell’economia e nella società del Mezzogiorno: il contributo dell’area al valore aggiunto del settore (18,5 miliardi di euro) rappresenta il 31% del totale nazionale, mentre il Mezzogiorno contribuisce alla ricchezza complessiva nazionale per appena il 20%. In particolare, è la fase agricola meridionale a essere particolarmente importante, con un valore aggiunto che, nel 2017, è arrivato a oltre 13 miliardi, cioè il 40% di quello italiano, mentre l’industria alimentare, delle bevande e del tabacco con 6 miliardi genera circa il 22% del valore aggiunto totale nazionale. Tali risultati sono generati da un tessuto produttivo costituito da oltre 340 mila imprese del settore agricolo, quasi la metà del totale nazionale (45%) secondo i dati del Registro delle imprese, mentre altre 34 mila sono le imprese che operano nella trasformazione alimentare e nella produzione di bevande (escluso il tabacco).
di Antonio Longo