
Molti ritengono che si possa porre rimedio alla compattazione grazie alla grande disponibilità di potenza e a strumenti decompattatori sempre più efficienti. Questo è vero solo in parte. Infatti, se è possibile ripristinare una discreta porosità del suolo con lavorazioni mirate, è anche vero che il danno può comunque permanere e riflettersi sulla produttività del terreno anche negli anni futuri. Vediamo perché. La principale causa del compattamento è il transito delle macchine agricole su terreno non sufficientemente portante, cioè incapace di sopportare il loro carico. Un terreno che non regge il carico si deforma e quanto più profonda è l’impronta lasciata dallo pneumatico e tanto maggiore è la compattazione del suolo e in definitiva il danno prodotto. Quando il terreno è asciutto la capacità portante è elevata e gli eventuali danni sono quasi trascurabili, viceversa quando è umido non è in grado di opporre resistenza e si deforma sotto il carico prodotto dal passaggio delle macchine: la deformazione riduce il suo volume. L’acqua infatti rende plastico il terreno, cioè consente alle particelle che lo compongono di scivolare una sull’altra andando a chiudere, fra gli spazi vuoti presenti nel suolo, quelli di maggiori dimensioni, i cosiddetti macropori. Senza macropori si interrompono i naturali scambi gassosi con l’atmosfera, l’ossigeno presente si consuma rapidamente e l’ambiente diventa presto inospitale per le radici e gli altri organismi che respirano. Nel peggiore dei casi si ha una acidificazione spinta con la completa scomparsa degli organismi normalmente presenti nel suolo agrario. A livello chimico invece si immobilizzano alcuni nutrienti che in tal modo non sono più disponibili per la coltura come il fosforo, molto sensibile alla riduzione del pH. Il compattamento quindi interagisce negativamente non solo a livello fisico, ma anche chimico e biologico e queste alterazioni non sono sempre facili da recuperare, comunque non nel breve periodo. Ovviamente la gravità del danno dipende anche dall’estensione sul campo del fenomeno.

Profondità da considerare
Un altro aspetto da considerare è la profondità a cui si manifesta. Infatti se la deformazione superficiale del suolo ci può mettere in allarme avvisandoci che non ci sono le condizioni per svolgere quella determinata operazione, quando l’azione di compattamento è più profonda i segnali in superficie sono meno evidenti e talvolta non lo sono affatto. Il terreno in profondità è ovviamente più umido e questo fatto può favorire un compattamento profondo che facciamo fatica a percepire proprio perché in superficie ci sembra che regga. Ecco perché i sistemi di prevenzione del compattamento è bene siano sempre adottati, iniziando dal dotare di adeguati pneumatici i mezzi aziendali e ricercando sul mercato terzisti sensibili a questa problematica. La pressione esercitata sul terreno innanzitutto deriva dal rapporto fra la massa del cantiere e la superficie d’appoggio. È un carico statico verticale che si manifesta anche quando la motrice è ferma. Quando la macchina agricola si muove genera anche un carico dinamico la cui intensità dipende da molti fattori fra i quali la velocità di avanzamento, la massa del cantiere e lo sforzo di trazione. Quest’ultimo parametro è determinante ai fini del compattamento sia perché incrementa la pressione trasmessa al suolo e sia perché produce slittamento. Lo slittamento a sua volta crea un’alterazione del suolo collegata all’azione meccanica dello pneumatico sul suolo. Il carico statico e dinamico si propaga nel suolo con onde di pressione che si attenuano man mano che ci si allontana dalla fonte sia ai lati e sia in profondità. Il comportamento dei diversi terreni è molto complesso e non dipende solo dal loro contenuto di acqua, ma anche dalla tessitura, dal contenuto di humus, dalla qualità della struttura iniziale che ha il suolo.
La pressione di gonfiaggio dello pneumatico è un altro aspetto importante perché diversi studi indicano che la pressione esercitata sul terreno durante lo svolgimento di una operazione è sempre un suo multiplo. Tuttavia vi è anche un’altra questione che rende gli pneumatici a bassa pressione più protettivi del suolo rispetto a quelli convenzionali cioè rispetto a quegli pneumatici che operano con pressioni interne doppie o triple. Infatti gli pneumatici a bassa pressione hanno la capacità di assorbire i picchi di carico fungendo da ammortizzatore. Sono pneumatici strutturati in modo da poter assorbire le deformazioni temporanee mantenendo un asseto corretto e quindi senza squilibrare la macchina durante il lavoro.

Le operazioni più delicate
Le operazioni di campo che creano più frequentemente danni al suolo sono quelle che utilizzano macchine pesanti, quelle che prevedono il trasporto di grandi quantità di materiali e quelle che con elevato sforzo di trazione.
Una tipica operazione in cui lo sforzo di trazione è molto elevato è l’aratura. Negli aratri convenzionali una quota non trascurabile del carico dinamico si trasmette sul vomere dell’aratro che opera in profondità, sotto lo strato interessato dall’azione del versoio. Se il trattore opera entro solco l’azione di compattamento aumenta. Più profonda è l’aratura e più spessa e resistente è la suola di lavorazione dato che maggiore è la quantità di terreno sollevata dal versoio. Questa operazione genera la suola di lavorazione cioè uno strato compatto che riduce gli scambi fra lo strato lavorato e la parte sottostante impedendo o rallentando la risalita capillare dell’acqua, lo sgrondo del terreno, il volume di terreno esplorato dalle radici.

La distribuzione di liquami e digestati è un’altra tipologia di operazione che facilmente è causa di questi deprecabili fenomeni. In questo caso sono le masse in gioco ad essere importanti dato che i volumi disponibili ammontano a circa 10 metri cubi per asse e che un metro cubo di liquame ha una massa di poco superiore alla tonnellata. A questo carico deve aggiungersi lo sforzo per l’avanzamento sul campo e quello di trazione generato dai sistemi di iniezione del liquame nel suolo. Tuttavia il suo impatto sul suolo agrario deriva anche dal fatto che questa operazione è svolta durante tutto l’anno (o quasi) compresa la stagione autunnale e quella inizio-primaverile, che nelle nostre condizioni climatiche sono quelle in cui il terreno è più umido. Tuttavia mentre nel caso dell’aratura si può agire riducendo drasticamente la profondità di lavoro, optando per attrezzature polivomere, operando fuori solco, nel caso della distribuzione di effluenti zootecnici l’operatore ha meno soluzioni disponibili. La soluzione più efficace per combattere il calpestamento è quella di fare ricorso alla distribuzione ombelicale che prevede che la cisterna rimanga a bordo campo alimentando il distributore collegato al trattore che opera sul campo mediante una manichetta. Dato che questa soluzione non è sempre convenientemente praticabile, le migliori case costruttrici di carri botte allestiscono i loro mezzi con pneumatici di grande diametro e larghezza e soluzioni capaci di garantire galleggiabilità sul campo e sicurezza in trasporto.

La raccolta
Vi sono alcune operazioni che possono essere differite con relativa facilità sino a quando il terreno si trova nelle giuste condizioni e quelle che sono difficili da differire, come la raccolta dei seminativi che è spesso soggetta a vincoli che non dipendono dall’azienda agricola. La raccolta delle colture destinate all’insilamento non è mai differibile, perché bisogna intervenire in un preciso stadio fenologico e quando l’umidità della pianta o della granella ha raggiunto uno specifico valore. Va però evidenziato come la raccolta del silomais negli ultimi anni ricada molto spesso nei mesi di agosto settembre, periodo ancora poco piovoso e caratterizzato da una elevata capacità di smaltire l’acqua.
Con la raccolta autunnale delle granelle il rinviare l’operazione genera alcuni problemi che possono essere legati sia alla proliferazione di funghi tossigeni, sia alla necessità del terzista di far lavorare con continuità la macchina da raccolta e che quindi preferisce lavorare con continuità. Inoltre rinviando la raccolta delle granelle si entra in una stagione caratterizzata da bassa evapotraspirazione. In questo periodo anche una pioggia leggera altera le condizioni di transitabilità per più giorni. A causa di tutto ciò la mietitrebbia spesso entra sul campo anche quando le condizioni del suolo non sono adeguate.

Con mietitrebbie e falciatrinciacaricatrici il ricorso a pneumatici di maggiori dimensioni, che potrebbero migliorare la galleggiabilità di questi giganti meccanici è difficile da realizzare. Infatti per poter ammortizzare queste semoventi è necessario lavorare almeno 400-500 ore anno di lavoro effettivo sul campo e ciò si traduce in una superficie dominata superiore ai mille ettari. Con la polverizzazione fondiaria che contraddistingue l’agricoltura italiana ciò significa lunghi percorsi stradali. Queste semoventi, come tutte le altre macchine, devono sottostare al vincolo del codice della strada che pone precisi valori di ingombro trasversale e di altezza derogabili solo richiedendo specifiche autorizzazioni e talvolta con il ricorso alla scorta tecnica. Tutto ciò limita la scelta degli pneumatici rendendo difficile (ma non impossibile) l’implementazione di quelli a bassa pressione. Infatti la tecnologia della gomma si è molto evoluta negli ultimi anni realizzando pneumatici con elevati contenuti tecnologici capaci di garantire una consistente riduzione della pressione durante le operazioni sul campo.
Cosa succede nel terreno

Un terreno agrario ideale è composto da un 50% di particelle minerali, sabbia, limo, argilla e humus, e la parte restante da spazio vuoto che, in proporzione variabile, è occupato da acqua e aria. Questo spazio vuoto, sempre in condizioni ideali, è ripartito fra macro e micropori: i primi consentono una rapida circolazione dell’acqua e in genere contengono aria, i secondi sono in grado di trattenere l’acqua grazie alla capillarità fungendo da riserva per la coltura. All’aumentare del contenuto di sabbia aumentano i macropori, viceversa con l’argilla i micropori. Il terreno ideale ha un discreto contenuto di argilla, però strutturata in glomeruli. In tal modo offre micropori all’interno degli aggregati e macropori fra gli aggregati. Tuttavia la struttura glomerulare è rara nel terreno agrario perché calpestamento e lavorazioni intensive la disgregano. Un suo sostituto è la struttura granulare, meno efficace e soprattutto meno duratura: è necessario intervenire con appropriate lavorazioni ogni anno per ripristinarla. Tuttavia tali lavorazioni dovrebbero consentire al terreno di riacquistare il volume originario evitando però la distruzione degli aggregati che stanno formandosi operata ad esempio da attrezzature azionate dalla presa di potenza e in particolare le zappatrici rotative. Sovesci e concimazioni organiche nonché una corretta gestione dei residui apporta al terreno sostanza organica, un componente fondamentale per la struttura del suolo perché, trasformandosi in humus, fornisce un legante per le particelle e quindi favorisce la formazione di una struttura stabile. Fondamentali anche i lombrichi nella costruzione di una buona struttura nel terreno; tuttavia anch’essi non sopportano le lavorazioni intensive e profonde. Quando l’acqua è presente anche negli interstizi di maggiori dimensioni il terreno perde la sua capacità di resistere al carico prodotto dalle macchine e si deforma. L’acqua infatti funge da lubrificante e favorendo lo scivolamento delle particelle fra loro consente che le stesse vadano ad occupare gli spazi liberi. In questo caso la macroporosità si riduce facendo perdere al suolo permeabilità all’acqua e porosità all’aria. Il terreno diventa asfittico, tende ad acidificarsi, diventa inospitale per la maggior parte delle colture agrarie.