Con un valore di mercato attualmente stimato attorno ai 2,5 miliardi di euro attraverso la vendita nella grande distribuzione e nei negozi specializzati, a cui va aggiunto un ulteriore miliardo dovuto ai pasti consumati “fuori casa”, il settore dei prodotti biologici è in continua espansione. In Italia si contano 76 mila aziende per una superficie coltivata che sfiora i 2 milioni di ettari, che incide sulla superficie agricola utilizzata per più del 15%. Il Paese è il primo in Europa per numero di produttori, seguito da Francia, Germania e Spagna e secondo a quest’ultima per Sau. Nel 2018 gli acquisti sono cresciuti del 10%, interessando il 64% degli italiani.
Uno studio recente realizzato nell’ambito della Rete Rurale nazionale si è soffermato sulle opportunità derivanti dai finanziamenti dei PSR per contribuire alla crescita dei mercati per i prodotti bio, sostenendo lo sviluppo di canali commerciali alternativi basati sulla cooperazione di filiera e con l’obiettivo di ridurre il numero di intermediari tra produttore e consumatore finale.
Secondo Nomisma a oggi il 64% degli acquirenti accede a questi prodotti attraverso la grande distribuzione, il 19% tramite vendita diretta e il 14% rivolgendosi ai quasi 1500 negozi specializzati, che si caratterizzano per una maggiore diversificazione dell’offerta e per questo sono preferiti da un pubblico più consapevole e fidelizzato, che trova in oltre maggior caratterizzazione a seconda di precise categorie (cibi salutari, biodinamici, per vegani ecc.).
Secondo quanto stimato dal CREA, in Italia oggi si assiste al fenomeno dell’aumento di dimensione media delle aziende agricole biologiche, di pari passo con la crescita di quelle attrezzate per la trasformazione dei prodotti e presenti nella grande distribuzione. A questo fenomeno si accompagna però l’aumento di nuovi canali di commercializzazione, attraverso i quali l’azienda riveste un ruolo più diretto e il consumatore percepisce maggiore coerenza con i principi del biologico.
Nella precedente programmazione 2017-2013 le Regioni hanno riservato una buona attenzione al BIO nei loro Bandi ma, secondo il rapporto pubblicato dal CREA, è mancata una vera e propria strategia coerente utile allo sviluppo del settore, mentre ci si è concentrati prevalentemente sulla sua valenza ambientale. Analizzando la programmazione successiva (2014-2020) si sottolineano che diverse Misure si occupano di incentivazione al settore. Dalla Misura 11, che regola l’introduzione e il mantenimento del metodo di produzione biologica alla Misura 4 (investimenti), Misura 9 (Associazionismo), e Misura 16 (cooperazione) che prevedono il riconoscimento di priorità o di maggiorazioni dell’aliquota di aiuto a favore delle imprese che trasformano o commercializzano prodotti biologici.
Per Anabio, rilancio delle Organizzazioni di produttori (OP) e necessità di maggiore strutturazione delle filiere bio – come già prevista a livello legislativo dalla Misura 2 del “Piano strategico nazionale per lo sviluppo del sistema biologico” (approvato dal Mipaaft nel 2016) – , devono camminare sempre più di pari passo. Ciò tiene conto, da una parte della centralità delle aziende agricole, promotrici del biologico come modello agricolo del futuro, in grado di agevolare sostenibilità ambientale e sociale, garantire qualità delle produzioni, integrando innovazione tecnologica, digitale e infrastrutturale a tutela anche della distribuzione e della tracciabilità delle materie prime; dall’altra, dei nuovi margini di incertezza cui i produttori bio sono esposti, con il rischio di erosione del reddito che induce alla cooperazione tra agricoltori in una logica di filiere produttive.
E’ quindi evidente -secondo Anabio- l’urgenza di un cambio di passo per la tutela del biologico italiano, che gli consenta di rafforzarsi in OP affidabili, efficaci nei servizi e in grado di garantire adeguata remunerazione agli agricoltori associati. Questo, forti del Decreto generale sulle OP (Misura 2) sulla verifica della fattibilità tecnica e le modalità attuative in favore del settore bio. Andrebbe inoltre rafforzato il ruolo economico delle OP, stimolando l’aggregazione, ma anche creando condizioni più solide di accesso a mercati, difficili per il singolo operatore. Infine le OP devono essere realmente controllate dagli agricoltori con forme giuridiche appropriate.
Emiliano Raccagni