Il fenomeno di diffusione dei micro birrifici non può essere più guardato come episodico e non ricopre più una nicchia riservata a pochi appassionati. È per questo che in Lombardia si sta valutando di iniziare seriamente a supportare questa filiera, che pur avendo storia e radici solide anche in Italia ha sempre rappresentato un indotto marginale nel contesto dell’agricoltura nazionale. Esiste in sostanza una vocazione alla birra, che negli anni era stata indebolita dall’acquisto dei marchi storici nazionali da parte di gruppi stranieri ma che oggi sta recuperando quota proprio grazie a realtà di piccola e media entità.
Da queste premesse nasce il progetto “luppoli di Lombardia”, presentato in questi giorni per dare supporto a un settore che vede sempre più giovani affacciarsi con il desiderio di tentare l’avventura del micro birrificio, che si scontrano inevitabilmente con una realtà difficile per il reperimento delle materie prime.
Un mondo giovane. "Nella nuova agricoltura lombarda- dice l’assessore regionale all’agricoltura Gianni Fava- la produzione di birra artigianale è un fenomeno consolidato su cui occorre lavorare insieme ai produttori. Dal momento che c'è chi produce le materie prime, ma non tutti possono farlo l'idea è di realizzare un grande impianto lombardo per la maltazione dell'orzo che possa servire tutte queste realtà piccole e medio piccole non in grado di farlo in proprio". Con il progetto "Luppoli di Lombardia" spingeremo per riconvertire parte delle attività agricole di Lombardia oggi vocate ad altro. L'obiettivo è di arrivare a una filiera del luppolo lombardo. C'è un mercato che cerca materia prima, non possiamo permetterci di perdere questa occasione".
Secondo i dati presentati pochi giorni fa a Milano il mondo della birra italiano è un mondo di giovani, a monte e a valle della filiera. Sono soprattutto giovani i circa 500 produttori artigianali attivi da nord a sud, lo sono i distributori, lo sono in maggioranza i lavoratori di bar e pub. E queste nuove leve si riflettono anche sulla propensione al consumo, dato che quasi il 42% degli italiani sceglie proprio la birra come abbinamento ideale per un pranzo o una cena leggera.
L’incognita accisa. Sul fenomeno, anche e soprattutto a livelli industriali, incombe però la minaccia dell'ulteriore aumento dell'accisa che, se approvato, potrebbe mettere in bilico altri 1200 posti di lavoro nei settori industria alimentare, agricoltura, distribuzione, bar e ristoranti, dopo i 1200 posti già 'bruciati' con i primi due aumenti, per un totale di 2400 occupati in meno. L’allarme, in un contesto dinamico e in crescita, arriva da presidente di presidente di Assobirra Alberto Frausin.''Chiediamo al governo di cancellare l'aumento di gennaio per salvare 1.200 posti di lavoro, dato che la birra è l'unica bevanda da pasto gravata da accise, ma questa anomalia non porta nessun vantaggio al Sistema-Paese per l'effetto depressivo sull'occupazione e sui consumi. Già oggi quasi un sorso su tre va al fisco, tra accisa e Iva, per un valore di 70 centesimi per una birra che costa 1,80 euro. E mentre Paesi concorrenti come Olanda e Danimarca stanno abbassando le accise, noi produttori italiani che stiamo consolidando un export di 2 milioni di ettolitri l'anno rischiamo di incentivare solo l'import di birre low cost e da discount, dalla Germania in particolare. Secondo uno studio recente un aumento delle accise di 10 centesimi al litro porterà a un aumento del prezzo medio di circa il 2%, con punte del 7% nella Gdo, con la previsione di una diminuzione dei consumi del 5%”. “Il peso fiscale su una bottiglietta di media gradazione da 66cl acquistata al supermercato a 1 euro è oggi pari al 40% dello scontrino - ha precisato il direttore di Assobirra Filippo Terzaghi - a gennaio potrebbe sfiorare il 45%''.
Articolo di Emiliano Raccagni