Al di là d dei molti anni passati dalla sua introduzione, Isobus resta un progetto in costante evoluzione e che come tale necessita di momenti di riflessione, confronto e messa a punto. Per esempio, l’interconnessione tra marchi diversi, che dovrebbe essere un fatto ormai acquisito, non è detto che avvenga sempre al primo colpo e senza intralci. La ragione? Talvolta, non la conoscono nemmeno gli esperti della materia, poiché il protocollo Isobus, arricchendosi mese dopo mese di nuove funzioni, sta diventando un sistema complesso e in tanta complessità è sufficiente un codice non interpretato, un’informazione scritta in modo diverso (lato attrezzo o lato trattore, dunque le possibilità di errore raddoppiano) per creare problemi. Con l’aggravante che, a differenza del guasto meccanico, andare a scoprire dov’è l’inciampo in un software che non risponde come dovrebbe non è cosa semplice.
Un punto d’incontro
Per fortuna esistono strutture che si preoccupano proprio di questo, ovvero di armonizzare, migliorare e implementare costantemente il protocollo Isobus, rendendolo uno standard davvero universale. A livello europeo, l’ente che si è incaricato di questo compito è Aef (Agricoltural Electronic Foundation), una fondazione che ha la sua controparte italiana in Rei (Reggio Emilia Innovazione), organismo che gestisce il Laboratorio Certificazione Isobus, uno dei cinque esistenti, a livello mondiale, per la validazione di attrezzature e terminali secondo i principi di Aef. In buona sostanza, un sistema Isobus testato e certificato nel laboratorio emiliano dovrebbe dare la massima garanzia di buon funzionamento e di dialogo senza intoppi con tutti i sistemi certificati Aef, italiani, europei o mondiali. Questo perché detti dispositivi soddisfano alcuni requisiti che Aef ha individuato come essenziali affinché la connessione tra macchine avvenga con il semplice inserimento della spina nell’apposita presa. In sostanza, è una sorta di Isobus molto ben dettagliato, laddove lo standard Isobus puro e semplice lascia una certa libertà interpretativa ai vari costruttori che, in passato, ne hanno proposto versioni leggermente rimaneggiate, e per questo proprietarie, non sempre adatte a dialogare con tutti i dispositivi presenti sul mercato.
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Momento di confronto
Un prezioso e interessante momento di confronto è il Virtual Terminal Day, organizzato dalla rete Ideagri, di cui Rei fa parte, e ospitato nei locali della fondazione Rei, a Reggio Emilia. Qui, dove si testano centraline e terminali, si sono dati appuntamento fabbricanti di macchine e di software, associazioni come Federunacoma e lo stesso Rei per fare, assieme, il punto sullo stato dell’Isobus e i prossimi passi indicati da Aef. Tra essi, la seconda generazione di Tim, la funzione di Isobus che consente all’attrezzo di prendere il controllo del trattore e che con un po’ di fantasia può essere vista come il primo passo per un cantiere di lavoro senza presenza umana.
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L’evoluzione di Tim
Tim sta per Tractor implement management, ossia la possibilità che, grazie alla rete Isobus, l’attrezzo gestisca alcune funzioni della trattrice. L’esempio classico – ma anche quello più comune nella realtà – è la pressa che regola la velocità del trattore in base al carico di lavoro e alla necessità di fermarsi per espellere la balla (parliamo di rotopresse, in questo caso). «Tim al momento è utilizzato principalmente su presse e rotopresse, seminatrici e in genere macchine che devono regolare la velocità e l’idraulica del trattore, oltre allo sterzo», ha spiegato Andrea Pavesi, tecnico di Rei.
Sebbene sia attivo da pochissimi anni, Tim è già sotto lente d’ingrandimento e si sta discutendo della nuova versione (Tim 2), che dovrebbe introdurre alcune modifiche di carattere prettamente tecnico, come determinazione del tipo di trasmissione, gestione di eventuali manomissioni di messaggi di controllo e simili, ma anche elementi assai più interessanti per i comuni mortali come la gestione dell’inclinazione di un attrezzo tramite i distributori idraulici, utilissima quando si deve mantenere costante l’altezza da terra di una barra di sfalcio o di un’ala dell’irroratrice, per esempio. «Gli attuali automatismi per il controllo dell’inclinazione di un attrezzo lavorano al di fuori di Isobus. L’idea sarebbe integrare in Tim i nuovi sistemi di regolazione dell’altezza, in modo da avere sempre meno funzioni che lavorano fuori Isobus e semplificare in questo modo l’elettronica degli attrezzi», ha spiegato Pavesi. In discussione per la versione 2 di Tim, inoltre, l’introduzione di un protocollo dedicato alle attrezzature con azionamento elettrico ad alta potenza: un percorso verso cui sembra ormai indirizzarsi la nuova meccanica agricola.
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Attenti ai cyber-attacchi
Un elemento cui si presta poca attenzione, ma che potrebbe presto divenire molto rilevante, è quello della cyber-sicurezza: un tema su cui l’Europa ha deciso di intervenire in modo molto incisivo. E le ricadute, come vedremo, potrebbero essere importanti anche nel settore agricolo. «Di fronte a una crescita significativa degli attacchi informatici, la Ue ha emanato il Cyber Resilience Act, in sigla Cra», ha spiegato il responsabile per l’agricoltura digitale di Federunacoma, Alessio Bolognesi. Il regolamento europeo, in corso di adozione, dovrebbe diventare operativo a partire dal 2027. «Da quella data in poi tutti i dispositivi elettronici che saranno messi in commercio, se prevedono una qualsiasi forma di comunicazione a distanza, dovranno essere protetti contro cyber-attacchi». Spetta al costruttore, ha continuato Bolognesi, certificare che i propri prodotti sono sicuri. Ma che significa "sicuri"? Purtroppo, la definizione è alquanto vasta: «In pratica, il costruttore attesta che il proprio prodotto non ha vulnerabilità note; in altre parole, non deve essere attaccabile da un hacker in nessun modo conosciuto al momento della fabbricazione. Spetta quindi all’azienda costruttrice valutare ed eventualmente prevenire ogni possibile fonte di aggressione da parte di un pirata informatico». Questa prevenzione, ha specificato Bolognesi, può significare la revisione di una parte del software di connessione di un dispositivo o anche della sua intera architettura, a seconda della gravità della vulnerabilità individuata.
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Isobus e pirati informatici
Quanto scritto riguarda ogni dispositivo elettronico, dal pc al cellulare, dal forno con Wi-fi fino al robot che taglia l’erba in giardino. «Se un oggetto è dotato di un sistema di connessione di qualche tipo, rientra nel Cra», ha sentenziato Bolognesi. Trasportata in ambito agricolo, la legge sulla ciber resilienza si applicherà presumibilmente a tutti i trattori di nuova generazione «Che pertanto dovranno essere Safety, ovvero sicuri per l’operatore, e Secure, ossia esenti da intrusioni», ha chiosato il tecnico di Federunacoma. Ancora da chiarire la situazione riguardo alle attrezzature. «In Aef stanno analizzando il testo del regolamento, per capire fino a che punto il protocollo Isobus rientra nel Cra. Certamente funzioni come Tim, Hsi (High Speed Isobus), Wic (Wireless in field communication) e AgIn (il nuovo protocollo per lo scambio dati, nda) sono sotto esame in Aef». Il problema, ha concluso il relatore, potrebbe presentarsi qualora tutte le funzioni più diffuse di Isobus dovessero richiedere un certificato di sicurezza: «Esiste il rischio concreto, in tal caso, di un sovraccarico della rete Bus».
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Verso le reti in campo
In un processo di aggiornamento costante, Isobus macina una versione dopo l’altra. «Il Virtual Terminal è ormai alla versione 7, mentre Ut (universal terminal) è alla sua terza generazione», ha fatto notare Pavesi. Nel futuro c’è però il passaggio dall’inter-operabilità trattore-attrezzo alla comunicazione wireless tra macchine in piena autonomia, nel quadro di un’evoluzione verso un’automazione sempre più spinta. In attesa di conoscere le meraviglie dell’autonomous machinery, è evidente una crescita costante d’interesse verso Isobus e le sue potenzialità. Tra il pubblico erano infatti presenti diversi costruttori che finora non hanno sfruttato il protocollo per le loro macchine, ma sono intenzionati a farlo in tempi brevi. Tra essi, nomi importanti, ma anche tante micro-aziende che lavorano nel campo dell’elettronica (schede e centraline) o del retrofit di macchine datate. È da queste ultime che viene l’irrinunciabile esperienza diretta: la sola, in fondo, che può dire fino a che punto la connettività Isobus mantiene davvero le promesse.
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I vuoti da colmare
«Restano lacune su attrezzature molto specifiche, come cimatrici, defogliatrici e altre macchine per colture specialistiche», ha spiegato Stefano Quadraccia, amministratore di Qs Control, società umbra che realizza sistemi Isobus per attrezzature quali aratri, ripuntatori, falciacondizionatrici e seminatrici. «Il problema – ha spiegato Quadraccia – è legato al numero di DDI inseriti nei singoli sistemi. A livello di libreria Aef sono presenti DDI quasi per ogni cosa; purtroppo, però, i fabbricanti di trattori inseriscono nei loro software soltanto quelli più comuni, come velocità, ettari lavorati, consumi eccetera. Informazioni come profondità e altezza di lavoro, rispettivamente per aratri e barre di sfalcio, sono spesso assenti. Se un trattore non ha uno specifico DDI, poniamo quello dell’altezza di lavoro, non potrà gestire questa informazione sul terminale virtuale». Con DDI (Data Dictionary Isobus) si indicano i codici che ogni costruttore può chiedere di inserire nella lista dei comandi trattati e riconosciuti dai sistemi Isobus. Esiste quindi un codice per ogni parametro rilevato, dalla larghezza dell’attrezzo al volume di prodotto distribuito, dalla distanza tra le file alla profondità di semina. È tuttavia necessario che attrezzo e trattore abbiano entrambi l’informazione DDI affinché il valore possa essere mostrato sul terminale universale della macchina operatrice.
Gestire le filiere con l’IA
X-Farm è un nome abbastanza noto nel mondo dell’agricoltura digitale. Partner di realtà importanti come Argo Tractors, realizza sistemi di precision farming con reti di sensori in campo e sui mezzi agricoli. Per esempio, ha creato una rete di monitoraggio in collaborazione con Conserve Italia. È basata, come ci ha spiegato Giacomo Luddeni, su 81 stazioni meteo e 482 sensori di umidità: metà nel terreno, metà sulle foglie. Grazie a essi, l’IA calcola la bagnatura fogliare e decide quando è il momento di effettuare trattamenti antifungini. «La Carbon Footprint impone di certificare la sostenibilità delle varie filiere. Siccome oltre il 60% delle emissioni di un alimento deriva dalla fase agricola, è necessario ridurre queste emissioni e per farlo occorre raccogliere un gran numero di informazioni sulla coltivazione delle materie prime. In questo senso, il ruolo delle macchine interconnesse sarà, in un prossimo futuro, fondamentale».
Un esempio di cosa possono fare big data e IA è stato fornito da Andrea Mazzocchi, sempre di X-Farm: «Un nostro progetto utilizza la computer vision per stimare in tempo reale la porosità della foglia e ottimizzare l’apertura delle sezioni dell’irroratrice. Contemporaneamente, le stesse videocamere possono fare la conta dei frutti, per avere una stima molto precisa delle future produzioni per ettaro».