Arriva in Europa dalla lontana Asia, soprattutto da Cambogia e Myanmar. Riso, tanto riso che supera le frontiere comunitarie senza –letteralmente- dover pagare dazio, con la conseguenza di mettere in crisi una delle filiere più importanti dell’agricoltura nazionale e in particolar modo piemontese e lombarda, dove si concentra il 90% della produzione. Con costi di produzione infinitamente inferiori a quelli italiani, i produttori asiatici inondano il mercato, soprattutto tramite i canali della grande distribuzione, di una materia prima che in Italia sta conoscendo una paurosa contrazione delle superfici coltivate se è vero, come affermano i dati di Ente Risi, che le superfici risicole italiane sono passate dai 247mila ettari (circa 3 anni fa) a 218mila ettari di oggi.
Mancanza di dazi. Difficile fermare questa emorragia senza adeguate protezioni normative, dato che la concorrenza è acuita dal fatto che Paesi come la Cambogia sono considerati da Bruxelles in via di sviluppo e quindi liberi di esportare a dazio zero nel Vecchio continente. Il risultato? Secondo i dati forniti da Confagricoltura, dal 2009 al 2013, l’importazione di riso dai Paesi del sud est asiatico è passata da 10mila tonnellate l’anno a 130mila. Mentre negli ultimi 10 mesi si registra anche un “allarme soia”: quella cambogiana è presente sul mercato italiano con valori più che raddoppiati. I segnali, indubbiamente, stavano arrivando da anni (sul finire del 2013 le quotazioni del Carnaroli, fiore all’occhiello della nostra risicoltura, erano scese in picchiata, diminuendo del 63%) ma i numeri dimostrano che la crisi si sta acuendo in modo esponenziale, tanto da far scendere in piazza il mondo produttivo nazionale che –piove sul bagnato- è quello maggiormente colpito a livello comunitario, dato che i due terzi della produzione italiana sono normalmente destinati all’estero, con la doppia beffa di una contrazione delle vendite entro i confini e in Europa, dove si registra un calo del 14%. A tutto questo, inoltre, si deve aggiungere il fattore qualità: il riso asiatico viene preferito per il vantaggio economico, ma porta spesso con sè anche problemi di controlli igienico sanitari che a monte della filiera sono precari e quindi anche potenziali problemi per i consumatori, come dimostrano alcuni respingimenti alla frontiera di partite contaminate da sostanze tossiche.
Azione Governo. Dopo le manifestazioni dei risicoltori delle scorse settimane, sostenute dalle associazioni agricole, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo regime doganale con il relativo aumento esponenziale di importazioni di riso a “dazio zero” dai Paesi del sud est asiatico, la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità in Commissione Agricoltura la risoluzione per impegnare il Governo ad intervenire in tempi rapidi in sede europea. Questo affinché sia attivata la clausola di salvaguardia facendo rendere immediatamente applicabile la normativa sull’etichettatura di origine dei prodotti agroalimentari, a potenziare l’attività di vigilanza e prevenzione delle pratiche commerciali scorrette rendendo pubblici i dati dei traffici illeciti accertati nonché, infine, a valutare eventuali iniziative per rendere più efficace l’attività dell’Ente Risi, così da promuovere la crescita e la competitività dell’agricoltura risicola italiana.
Agromeccanici. Tra le voci di denuncia della situazione non solo quelle delle imprese agricole. Gli agromeccanici segnalano come la crisi della risicoltura nazionale pesi anche sulle imprese agromeccaniche, che negli anni hanno investito risorse ingenti in mezzi, macchine da raccolta e tecnologie per la coltura del riso. Macchine che rischiano di diventare ferro vecchio, senza terminare la fase di ammortamento e con lo spettro di non tornare più utili per l’abbandono di tale indirizzo da parte delle imprese del Nord. Lo afferma il presidente di Confai, Leonardo Bolis. Secondo le stime di Confai, i redditi delle imprese di meccanizzazione agricola che operano nel mondo del riso potrebbero subire un calo nel 2014 intorno al 20 per cento. Con le prospettive, però, di subire un contraccolpo più pesante con la campagna successiva.
Articolo di Emiliano Raccagni