Il credito d’imposta 4.0, istituito con la legge di bilancio 2021 (legge 178/2020) in sostituzione degli ammortamenti maggiorati per estenderne l’utilizzo al settore agricolo, che non tiene conto degli accantonamenti, è giunto ormai alla fine della sua corsa. Come si ricorderà, la percentuale di credito si era via via ridotta rispetto alla misura iniziale (50%) fino all’attuale 20%: una quota che ha consentito alle aziende di assorbire parte degli aumenti dei prezzi delle macchine intervenuti a partire dal 2022.
Il programma 4.0, secondo le intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto concludersi il 31/12/2025, con una parziale sovrapposizione rispetto al “5.0” varato lo scorso anno, che introduce un ulteriore requisito di efficienza energetica. Di fronte al “5.0” (innovazione, digitalizzazione e risparmio energetico), il “4.0” pone obiettivi meno virtuosi e potrebbe addirittura essere considerato come sussidio “ambientalmente dannoso”, ai sensi delle norme comunitarie, perché non guarda né all’ambiente né al risparmio di energia. Ma la preoccupazione del governo potrebbe essere più concreta, legata alla mancanza di fondi: fatto sta che nella finanziaria 2025 (legge 207/2024) sono state introdotte pesanti limitazioni al 4.0.
In primo luogo, cessa il beneficio sugli acquisti di beni immateriali, come licenze, programmi e applicativi per la digitalizzazione del processo produttivo; per i beni materiali, invece, viene fissato un limite complessivo di 2.200 milioni di euro. Dato che gli acquisti che possono beneficiare del credito d’imposta sono soggetti (dall’anno scorso) alla presentazione di una domanda iniziale, questa assume la funzione di “prenotazione” dei fondi, in modo che il credito del 20% possa essere garantito a tutte le domande approvate. Al raggiungimento del limite sopra indicato, le domande iniziali non saranno più ricevibili e anche questa fonte di finanziamento si seccherà del tutto.
Considerato che il credito “5.0” sembra alquanto difficile da gestire, specialmente in quei settori, come l’agricoltura, dove la fonte energetica non è un quadro elettrico con tanto di contatore, può essere conveniente affrettarsi a prenotare i fondi del programma 4.0, prima che si esauriscano.
Non bisogna dimenticare, infatti, che i requisiti tecnici delle macchine acquistate sono i medesimi, comprendendo le 5 caratteristiche obbligatorie e 2 a scelta fra le ulteriori 3, oltre naturalmente al risparmio di energia per l’azienda o, con percentuali superiori, per il singolo processo produttivo.
Per quanto la percentuale di intervento sia nettamente superiore all’ormai “vecchio” credito 4.0 – si va dal 35% al 45% – la maggiore difficoltà sta nell’ottenimento della certificazione energetica. Se infatti in sede di compilazione della domanda (al Gse, Gestore dei servizi energetici) è richiesta una semplice perizia, la domanda può essere validata solo a seguito della certificazione, rilasciata da un soggetto accreditato: un percorso a ostacoli che ha finora limitato l’accesso all’agevolazione.
Aiuti e incentivi, le differenze ci sono (e pesano)
I contributi statali in conto capitale – come quelli derivanti dai bandi Isi-Inail, dal Pnrr o dai fondi gestiti da Ismea – possono essere soggetti a tassazione, che di fatto ne riduce l’entità: questo vale per il contoterzista e per ogni altra azienda soggetta a reddito d’impresa. Per esempio, un contributo a fondo perduto di 100.000 euro è tassato nell’anno fiscale in cui viene incassato, in misura uguale all’aliquota delle imposte sui redditi: in un’impresa che incassa 120.000 euro, il titolare o i soci dovranno dichiarare il contributo percepito come se fosse un reddito. Le aziende che non sono tassate a reddito d’impresa (come la maggior parte delle aziende agricole) non dovranno invece dichiarare nulla; come contropartita non possono detrarsi alcun costo o spesa e il loro reddito è solo quello derivante dal possesso e dalla conduzione del terreno. Anche qui, però con sostanziali differenze legate al titolo di aiuto: per esempio, i fondi per lo sviluppo rurale, che sono di provenienza comunitaria, vengono erogati sulla base di un progetto presentato alla Regione di competenza.
L’erogazione dei fondi, però, è successiva agli investimenti fatti: in pratica si presenta il progetto, si acquista (e si paga) tutto ciò su cui si vuole chiedere il finanziamento e solo a consuntivo, se tutto va bene, si potrà incassare il denaro. Anche se questo viene pagato tutto, il contributo arriva con mesi o anni di ritardo; è positivo che non venga tassato, ma non è detto che venga effettivamente erogato. Se in seguito alla rendicontazione emerge una qualche irregolarità (talvolta minima) che non è possibile sanare, la regione revoca il contributo e se una parte di esso fosse mai stata anticipata all’agricoltore, viene inesorabilmente richiesta indietro, magari in modo forzato.
Un discorso analogo, e per certi versi ancor più preoccupante, riguarda i crediti d’imposta: oltre al rischio di revoca – sempre possibile in relazione alla possibile mancanza dei requisiti richiesti, come quelli di interconnessione nel 4.0 – c’è il problema dell’impiego del credito. Si è detto dell’azienda agricola, nella quale i contributi in conto capitale non vanno a tassazione: ma chi ha fatto investimenti confidando nel credito d’imposta può avere subito qualche delusione. Un agricoltore, per esempio, come può materialmente usufruire dell’agevolazione? Non essendo di norma soggetto a imposte sui redditi (dal 2017, neppure su quelli catastali, grazie al provvedimento varato dal governo Renzi e fino a ora continuamente prorogato), l’unica opportunità per recuperare il credito è limitata ai soli contributi previdenziali. Se l’azienda occupa lavoratori dipendenti potrà compensare i contributi in un tempo più o meno lungo; ma se non ci sono dipendenti, la compensazione annua è limitata ai soli contributi del titolare o dei soci della società agricola, con lunghissimi tempi di recupero del credito d’imposta. In questo caso l’agevolazione è stata, di fatto, assai limitata: la macchina è come se fosse stata pagata per intero, in quanto il credito d’imposta non è immediatamente incassabile, anche se rate arrivano per l’intero valore.
La piccola impresa che lavora per conto terzi si può trovare in una condizione simile, per quanto meno grave: il fatto di essere tassata a bilancio con un sensibile carico previdenziale e tributario le consente di accelerare, seppur di poco, i tempi di recupero del credito. Chi, tuttavia, ha investito contando sui benefici del 4.0 ha dovuto fare i conti con la constatazione che i crediti d’imposta sono vantaggiosi per le imprese che pagano molte tasse e lavorano non un forte carico di manodopera: in tal caso il recupero del beneficio fiscale è quasi immediato.