Lo impongono le leggi, lo consiglia il portafogli: i reflui sono sempre più, oggi, un bene da valorizzare, per trasformarli in un fertilizzante in grado di provvedere, con un piccolo supporto minerale o anche da solo, al fabbisogno nutrizionale delle colture. Comprese quelle più esigenti, come il mais.
Che questo sia possibile è dimostrato dall’analisi dei componenti di un liquame standard: il quale contiene, in media, dai 3 ai 5 kg di azoto per tonnellata, suddiviso quasi alla pari tra forma organica (57%) e ammoniacale (43%). Di conseguenza, distribuendo 50 tonnellate di reflui è possibile somministrare ai terreni circa 200 kg di azoto. Un piano colturale che preveda 50 metri cubi di liquami o digestato in autunno, un’altra ventina durante la preparazione del terreno in presemina e poi ulteriori 40 metri cubi dopo l’emergenza – in sarchiatura o comunque prima che la pianta sia troppo sviluppata – permette quindi di fornire tutto il nutrimento necessario allo sviluppo del mais.
Se non bastassero i calcoli teorici, ci viene in soccorso l’esperienza diretta di un agricoltore, che da anni impiega i liquami sui suoi terreni. Si tratta di Nardino Mosconi, che vive e lavora a Curtatone (Mn). Da anni, dicevamo, Mosconi coltiva mais senza usare prodotti minerali. «Li impieghiamo soltanto sui terreni più lontani, non raggiunti dall’impianto ombelicale», ci spiega. Dove arriva la rete sotterranea, invece, Mosconi distribuisce 50 metri cubi per ettaro di digestato liquido, interrandolo con un ripper ad ancore. A primavera, inoltre, diluisce il digestato nell’impianto di irrigazione a pioggia, fornendo il rimanente nutrimento alla pianta.
Il problema della variabilità
Se l’impiego teorico di reflui o digestato come fertilizzante non crea particolari difficoltà, la messa in pratica di questa soluzione è un po’ meno agevole. Il nodo principale consiste nella forte variabilità dei reflui, di qualsiasi tipo siano, rispetto per esempio all’uniformità assicurata da un concime minerale, seppur di scarsa qualità. Ciò dipende in primo luogo dall’alimentazione degli animali — o dagli ingredienti immessi nell’impianto, in caso di digestato — ma è anche influenzata dalle condizioni e dal tempo di stoccaggio del materiale, come pure dal metodo di separazione della componente solida.
Come si è detto più volte e come sottolineano tutti gli addetti ai lavori, per esempio, è essenziale che le vasche di stoccaggio siano coperte, per evitare che la pioggia diluisca la concentrazione degli elementi nutritivi, oltre ad aumentare – talvolta considerevolmente – la quantità di prodotto da smaltire. In secondo luogo, anche il tempo di permanenza in vasca condiziona la qualità dei reflui. Per esempio, a causa dell’evaporazione dell’azoto ammoniacale, certamente maggiore con le alte temperature estive, ma presente anche nei mesi freddi. Si calcola che fino al 15-20% della frazione ammoniacale – dunque circa il 7-10% dell’azoto totale – si può disperdere in questo modo, danneggiando l’ambiente e riducendo il potere fertilizzante dei liquami. Ancora una volta, una copertura artificiale della vasca elimina questo rischio.
Infine, va ricordato l’effetto di sedimentazione che forzatamente interessa un liquido con elementi minerali in sospensione. Ce lo conferma Giuliano Oldani, contoterzista della provincia di Lodi: «Dalle analisi fatte emerge con chiarezza come la composizione dei liquami di una stessa vasca vari fortemente — parlo di una differenza fino al 50% nel contenuto di azoto, se non di più — tra l’inizio e la fine dello svuotamento. Ciò è dovuto al fatto che le componenti solide dei reflui si sono depositate sul fondo. Per evitare questo inconveniente è importante che le vasche siano fornite di agitatori da attivare due o tre giorni prima di iniziare lo svuotamento».
Analisi in tempo reale
Copertura delle vasche, riduzione della dispersione in atmosfera, miscelazione dei liquami: tutto allo scopo di uniformare il contenuto di azoto all’interno della cisterna e, possibilmente, anche tra cisterne diverse. Una necessità che si fa sentire nel momento in cui si vuol fare vera fertilizzazione con i reflui zootecnici. Il presupposto per una nutrizione efficace delle piante è infatti conoscere con una discreta attendibilità quante unità di azoto (e degli altri elementi, chiaramente) sono fornite alle colture. Ciò è possibile in due modi: effettuando poche analisi su liquami che presentino un’uniformità medio-alta o, in alternativa, ripetendo più volte i controlli. Fino ad arrivare, come caso limite, a realizzarli su ogni botte che esce dall’azienda. Ipotesi impensabile anche in un recente passato, ma che è ormai realtà grazie ai dispositivi Nir portatili. Questi ultimi sono strumenti che, complice il progresso tecnologico, replicano quelli ben più ingombranti e costosi presenti in un laboratorio. Sono stati ridotti a dimensioni tali da essere facilmente trasportabili, al punto che sono montati sulle trincaricatrici, per un esame in tempo reale del materiale raccolto. Nessuno vieta, pertanto, che possano essere installati anche su una cisterna per liquami, purché tarati per leggere azoto, fosforo e potassio all’interno di un liquido così complesso.
Le prime applicazioni in questo senso esistono già, anche nel nostro paese. John Deere, che sui Nir ha scommesso da tempo, installandoli – primo tra i grandi costruttori – sulle trinciacaricatrici, sta lavorando in questo senso. Lo stesso vale per Veenhuis, costruttore olandese di attrezzi per la distribuzione dei liquami. Il suo Nir, che dovrebbe essere pronto entro l’anno, ha un duplice impiego: in postazione fissa, nel cortile aziendale, per l’analisi veloce dei liquami, oppure direttamente sul carro-botte, così da avere informazioni continue su ciò che scende sul terreno.
Verso il dosaggio variabile
La determinazione esatta – o perlomeno con alto tasso di attendibilità – del potere nutrizionale nei liquami apre la strada al loro impiego in piani di fertilizzazione a dosaggio variabile, l’ultimo passaggio necessario per rendere i concimi organici del tutto equivalenti a quelli minerali.
Come noto, la fertilizzazione è stata una delle prime operazioni colturali su cui si è applicato il rateo variabile, nonché una di quelle in cui i suoi effetti sono più evidenti: aumentando il dosaggio nelle aree di campo meno fertili e riducendolo dove il terreno è più ricco, è possibile massimizzare l’efficacia dei mezzi tecnici e uniformare le rese, livellandole verso l’alto.
Vista la sempre maggior diffusione del precision farming, è evidente che si debba applicarla anche a un moderno e razionale uso dei liquami. «Esistono due modi per effettuare una concimazione a dosaggio variabile con effluenti zootecnici», spiega Marcello Chiodini, ricercatore universitario e contitolare di Agritec, società specializzata in distribuzione dei reflui. «Il primo – prosegue – è di tipo volumetrico: conoscendo il contenuto di massima dei vari nutrienti, si realizzano mappe di prescrizione utilizzando come variabile il numero di metri cubi per ettaro. A questo punto, si effettua la distribuzione con un carro-botte in grado di regolare la quantità di prodotto in uscita, su indicazione del software che legge le mappe stesse. Il secondo sistema prevede l’impiego della tecnologia Nir, per mezzo della quale si lavora non sui metri cubi di prodotto ma sulle unità dei vari nutrienti. Grazie al Nir portatile, infatti, il sistema operativo conosce in tempo reale il contenuto di azoto, fosforo e potassio del refluo e aumenta o riduce il dosaggio in rapporto ai valori reali dei nutrienti. Nel caso non sia possibile raggiungere le unità di nutriente necessarie, inoltre, si può integrare immediatamente la concimazione organica con un supporto minerale».
Un sistema di questo tipo, ci spiega Chiodini, è applicato nei Paesi Bassi, dove esiste un vincolo normativo all’uso di fosforo. Per evitare di superare i limiti, le botti regolano l’erogazione in base al contenuto di fosforo dei liquami e, nel caso non riescano a somministrare l’azoto necessario a causa di questo vincolo, integrano la fertilizzazione con azoto minerale contenuto in un serbatoio supplementare installato sul trattore.
Che sia del primo o del secondo tipo, insomma, il dosaggio variabile nella distribuzione dei liquami è ormai una realtà e permette alle aziende più evolute di sfruttare nel migliore dei modi un sottoprodotto che ha cessato da tempo di essere scarto, per trasformarsi in preziosa risorsa a disposizione di tutti gli allevatori.
Visualizza Fig. 1 - La composizione dei liquami
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