Non si riescono a far quadrare i conti. La marginalità è una chimera.
Quasi tutti i seminativi nell’ultimo anno hanno pagato dazio a clima infausto e, soprattutto, a mercati deboli. Tanto da non garantire alcun utile.
Lo scenario di riferimento in campagna è questo. E non sono sufficienti alcuni timidi, molto timidi, segnali di ripresa per far tornare il sorriso agli imprenditori agricoli.
Occorre arrabbattarsi, limare sui costi, dove e fin quanto possibile, scegliere strategie conservative e meno onerose.
Un recente articolo, pubblicato sul settimanale Terra e Vita, ha confermato alcune cifre che molte aziende agricole conoscono bene.
In Pianura padana l’incidenza delle lavorazioni sul costo di produzione totale dei principali seminativi è elevata. In diversi casi molto elevata.
Attorno al 45-50% nel caso dei frumenti tenero e duro, qualche punto sopra per l’orzo, per salire sopra al 60% nel caso di mais. E ancor più soia.
Si tratta di alcune centinaia di euro a ettaro che fanno la differenza.
Quelle che possono decidere utile o perdita della coltura.
Della meccanizzazione non si può fare a meno, è evidente. Gran parte dello sviluppo agricolo e della crescita, nel senso più ampio del termine, del settore primario è da imputare a macchine e attrezzature.
Che, è lapalissiano, oggi vanno gestite e utilizzate ancora meglio di quanto sia stato fatto fino a ora.
Gli agricoltori, spesso più all’avanguardia di quanto si pensi di loro lo hanno già compreso. E il boom dell’approccio conservativo appare come la conferma più chiara del fenomeno in atto.
Declinato in maniera più rigida con l’applicazione del sodo in maniera integrale.
O in misura un po’ più elastica con l’introduzione della minima lavorazione.
Condizione necessaria che ora viene anche supportata in maniera più corposa dalle istituzioni. Non è un caso che misure a sostegno del conservativo, piò o meno forti, siano presenti nella nuova programmazione dei Psr 2015-2020 di ben 15 Regioni.
Più di un indizio.