Italia da una parte, Commissione europea dall’altra. Messo giù così l’approccio appare semplicistico, ma non così distante dalla realtà.
Poichè la questione dell’applicazione della Fase IV motori ai trattori specialistici, agli ‘stretti’, sembra sia diventata una questione importante solo (o quasi) per i costruttori italiani.
Ma la cosa non può essere ridotta a una battaglia di campanile. Si tratta, se vogliamo, di buonsenso e di reale applicabilità di norme un po’ (eufemismo) troppo restrittive.
Andiamo con ordine.
È di inizio 2015 la notizia della pubblicazione dello studio sull’introduzione della Fase IV, realizzato per conto della Commissione Europea, dalla società inglese Trl (Transport Research Laboratory). Uno studio che, oggettivamente, lascia poco spazio alle interpretazioni.
La Trl rimarca, infatti, che esistono tutte le condizioni per progettare e realizzare trattori in linea con la Fase IV. E, per converso, evidenzia la mancanza di condizioni per assecondare la richiesta di proroga avanzata dai costruttori di trattori. Bocciato dunque lo slittamento al 2020.
Con questo scenario ci si dovrà adeguare relativamente in fretta: la scadenza è quella del 1° ottobre 2017, data in cui sarà appunto operativa la Fase IV.
Dopo l’amaro commento del Cema, la Confederazione europea dei costruttori di macchine agricole («Lo studio definisce l’assenza di impedimenti tecnici, pur riconoscendo che l’applicazione della Fase IV sarebbe causa di penalizzanti limitazioni strutturali e operative») arriva a stretto giro la replica dei costruttori italiani, i più interessati a questo segmento.
Che contestano l’applicazione della Fase IV per i trattori specialistici, ma soprattutto mettono in dubbio l’attendibilità dello studio del Trl.
A giudizio dei costruttori italiani, rappresentati da Assotrattori all’interno di FederUnacoma, la relazione prodotta da Trl, contiene errori di metodo e valutazioni non corrette anche nel metodo, tali da mettere la Commissione europea su una pista sbagliata.
Per i costruttori italiani i rilievi tecnici del Trl sono stati effettuati su una tipologia di motore non agricolo, quindi non comparabili con le caratteristiche dei motori per le trattrici.
Poi - e di fatto è il punto chiave - i costruttori non condividono l’aspettativa che l’industria motoristica possa compiere uno sforzo per adeguare i nuovi motori alle esigenze specifiche dei trattori stretti. Secondo Assotrattori si tratta di un’ipotesi irrealistica: il mercato dei trattori stretti presenta numeri troppo piccoli per consentire all’industria motoristica di sviluppare e realizzare tecnologie ad hoc. Si parla di circa 20mila unità annue. Un niente rispetto ad esempio ai milioni di unità dell’automotive.
E così, in un contesto da battaglia nei palazzi bruxelliani, FederUnacoma rilancia: se non sarà possibile fermarsi alla Fase IIIB - cosa, temo, già assodata - è necessaria la proroga della Fase IV al 2020. Oppure, in extrema ratio, il passaggio diretto alla Fase V, saltando gli adempimenti (e i costi) della Fase IV.
Battaglia di retroguardia? La solita mossa degli italiani per ‘rimandare’ la questione?
Francamente non pare questo il caso. Il problema esiste e va affrontato. Probabilmente non con la rigidità della Commissione Europea. L’approccio anaelastico - fondato sul “le regole sono già state scritte e vanno rispettate. A prescindere” - rischia di mettere davvero in difficoltà un intero comparto. Riprogettare una macchina comporta investimenti molto elevati. In questo momento di crisi, investimenti fuori dalla portata per molti costruttori.
Vale la pena, nel nome di un po’ meno emissioni (ma quante poi?) mettere in ginocchio alcuni storici produttori.
Difficile da condividere. Non ne guadagnerebbe di certo il settore industriale.
E forse nemmeno l’ambiente.