Sarà l’intramontabile mito di Ferdinand Porsche, sarà il fascino del contesto cinquecentesco toscano in cui si trovano i trattori (vedi box), ma la collezione di Giuseppe Beconcini è sicuramente tra quelle più seducenti che abbiamo ospitato su questa rivista. Senz’altro unica. C’è, infatti, una passione davvero speciale dietro questi trattori, che nasce da un amore smisurato per il marchio Porsche.
«Ho sempre avuto la fissazione delle Porsche – ci spiega Beconcini – tanto che adesso ne possiedo due. La prima l’ho comprata prima di laurearmi in Biologia, nel 1969, una 912 Soft Window, così chiamata per il vetro posteriore morbido. Che ovviamente possiedo ancora. E quando venni a sapere che Porsche aveva costruito anche dei trattori, nei primi anni Duemila ho cominciato a interessarmi della questione e a collezionare diversi modelli. Porsche rappresenta una parte importantissima nel campo dei trattori, in quanto racchiude un bagaglio di tecnologia che per quei tempi era assolutamente straordinario. E interruppe la produzione nel 1963 perché ormai le auto sportive rendevano molto di più. Così la fabbrica di Friedrichshafen fu venduta alla Daimler-Benz, mentre scorte e pezzi di ricambio furono comprati dalla Renault».
Beconcini è adesso uno dei massimi esperti di trattori Porsche, tanto da aver scritto un libro (“Porsche: mito e trattori nelle campagne italiane”) che consigliamo caldamente a tutti gli appassionati e che con un po’ di fortuna si riesce ancora a trovare su Internet. Forte anche della formazione ricevuta presso l’Istituto Tecnico Industriale, Beconcini ha restaurato in prima persona i trattori che ha recuperato in questi anni, a parte alcuni esemplari che non avevano bisogno di restauro in quanto perfettamente conservati. Sono una trentina i modelli presenti nella collezione di Beconcini, un numero sicuramente importante se rapportato ai circa 50 modelli costruiti nel complesso da Porsche. Sono tutti perfettamente allineati sotto una tettoia nel giardino della villa medicea del proprietario, anche se questa soluzione non lo soddisfa appieno. «Ho chiesto il permesso per costruire un ricovero migliore per i miei trattori, perché allo stato attuale sono sì protetti, ma si trovano comunque all’esterno».
Si parte dal Brasile
Iniziamo allora questo (purtroppo) veloce excursus nella collezione di Beconcini, partendo subito dal pezzo più raro della collezione. «È il P312, il famoso trattore del Brasile del 1954 – ci spiega il proprietario – 30 cavalli, alimentato a benzina, 4 tempi, raffreddato ad aria e progettato per lavorare nelle piantagioni di caffè. Fu costruito da Allgaier su studio e progettazione Porsche e ne possiedo tre esemplari: due restaurati (uno dei quali recuperato proprio in Brasile) e uno da restaurare, ed è raro perché ne produssero solo 220 unità. E da quello che so, oltre a questi in Europa ce ne sono solo altri tre o quattro tra Austria, Inghilterra e Germania».
A questo punto seguiamo l’ordine cronologico di produzione dei modelli presenti in collezione e quindi cominciamo dall’Allgaier R18, del 1947, 21 cv, nato da un motore fisso attorno al quale vennero assemblati il telaio e tutti gli altri componenti. «È un po’ come i nostri testacalda – ci racconta Beconcini – ma non a 2 tempi, bensì a 4 tempi, raffreddato ad acqua, senza radiatore. Il moto si trasmette dal motore al cambio tramite 3 cinghie e pesa quasi 2 t, in pratica è come un mulo».
Subito dopo troviamo l’Allgaier R22, del 1949, simile al primo, ma con 22 cv di potenza. Beconcini possiede poi diversi AP17, il primo trattore costruito da Porsche, nel 1950. Equipaggiato con lo stesso motore della P312 (ma diesel e non a benzina), bicilindrico, raffreddato ad aria, erogava una potenza di 18 cv. La lettera A nella sigla AP indica il marchio Allgaier, perché Allgaier era una ditta di profilati e costruiva il trattore, ma il progetto e la tecnologia erano targati Porsche. Questo modello aveva la particolarità di essere costruito in lega di alluminio e magnesio, con conseguente peso ridotto. Un secondo AP17 nella collezione di Beconcini è di colore verde (a indicare che veniva dalla Germania, mentre quelli esportati erano arancioni e rossi) e un terzo presenta già la linea Porsche: anch’esso costruito in alluminio e magnesio, è molto raro, perché prodotto in pochi esemplari, con un cofano e un sollevatore particolari. Quarto esemplare di AP17 presente in collezione è un modello arancione proveniente dall’Olanda e che si distingueva per le particolari luci posteriori.
Junior, Standard, Super e Master
Dopo l’AP 17 troviamo un Allgaier A133 del 1952, 3 cilindri, raffreddato ad aria, 33 cv, con il famoso cambio Porsche a 5 marce. «Porsche produsse circa 50 modelli in totale e questo fu il tre cilindri che ebbe più successo – ci racconta Beconcini –. Nel 1958 Porsche arrivò a essere il secondo costruttore in Europa dopo Steyr, ma come tecnologie era davvero all’avanguardia. Basti pensare che da noi in quel periodo c’erano sempre i Landini testacalda, mentre questi modelli avevano praticamente tutti la frizione idraulica a bagno d’olio».
Oltre a un A133 verde, Beconcini ne possiede altri due esemplari, uno di colore arancione e uno di colore rosso. Quest’ultimo era di proprietà del palazzo mediceo da lui acquistato, quindi “toscano”: l’ultimo rivenditore di trattori Porsche in Italia, infatti, era Giovanni Nannipieri di Pontedera (Pi) e oltre Pontedera non venivano venduti (l’altra grande concessionaria era l’Aedes di Bolzano).
Procedendo nella collezione, è del 1952 anche un A111, monocilindrico, 12 cavalli, raffreddato ad aria, pensato prevalentemente per il mercato italiano. Su questo modello Beconcini ha recuperato dalla stessa Porsche la luce della retromarcia e il tappo del serbatoio della 356. Si passa poi al 1953, con un altro grande trattore, bicilindrico, l’A122 (o P122), dotato già allora di due prese di potenza posteriori e una anteriore. Il P111, del 1956, è invece un altro monocilindrico, presente nella collezione sia come Allgaier sia come Porsche. Probabilmente risalgono a due momenti diversi del 1956, perché Allgaier cessò la produzione di trattori a fine 1955 e nel 1956 vennero i Porsche. Risalgono al 1956 anche un AP 208 Standard, bicilindrico, 18 cavalli di potenza, e un P133 del 1956, simile al bicilindrico 208, ma tricilindrico, 33 cavalli, con muso, assale anteriore e parafanghi diversi.
Il cambio ZF
Nel 1957 torniamo a un modello a 1 cilindro, il P108 Junior, con muso allungato tipico Porsche, 14 cavalli di potenza, presente anche nell’esemplare più tozzo P108 K (del 1958, munito di barra falciante). Dal 1958 passiamo al 1960, con un 217 T Standard bicilindrico rosso Porsche, 20 cavalli, che presenta assali più alti rispetto al modello in verde. Del 217 Standard Beconcini possiede anche un modello con sollevatore, che ha lo stesso motore dell’AP17, ma con batteria in posizione centrale e motore spostato in avanti. «Non avevano bisogno delle 4 ruote motrici – commenta Beconcini – proprio grazie al motore centrale e alla frizione idraulica». Passando ai tricilindrici, nel 1960 troviamo il P308 Super, 38 cavalli di potenza, mentre nel 1961 è il momento del Super Export 329, 35 cv, con carrozzeria molto tondeggiante e mascherina nuova, che viaggiava a 35 km orari, e del P309 Super, sempre da 35 cavalli e con cambio Porsche. Tra il 1961 e il 1962 invece arriva il Super 319, 40 cavalli, con struttura differente, due seggiolini e soprattutto cambio a doppia leva ZF a 8 marce.
Dulcis in fundo, altri due pezzi da novanta, ovverosia due Master 429 del 1961, più piccoli come struttura rispetto al 329, 50 cavalli, 4 cilindri, ritrovati da Beconcini in Toscana: furono diversi i Master prodotti e questi due 429 differiscono tra loro per i parafanghi (uno li ha più stondati, l’altro li ha divisi). «Tutto sommato non è stato difficile ritrovare questi trattori e ormai ritengo di aver finito la mia collezione – conclude appagato Beconcini –. O meglio, in realtà c’è ancora un modello che vorrei recuperare: un mono/bicilindrico stretto (1,20-1,30 m), che fu costruito per lavorare nei vigneti. Non ho fretta, appena mi capita l’occasione giusta, prenderò anche quello». di Francesco Bartolozzi
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Un pezzo di storia
Abbiamo parlato all’inizio dell’articolo di un contesto speciale. Si tratta di una Villa Medicea a Fucecchio (Fi), esattamente a metà tra le province di Firenze e Pisa, costeggiata dalla via Francigena.
L’inizio di questa collezione coincide se vogliamo con l’acquisto di questo palazzo del 1570 da parte di Beconcini intorno al 2003. Si tratta di un palazzo costruito da Cosimo I de’ Medici, primo granduca di Toscana, e riporta sul davanti una targa del 1570 intitolata a Bernardino Medici, anche se il Palazzo risale al 1555-1560.
Molto particolari sono i due stemmi medicei presenti nella targa. Alla fine del 1500 il palazzo fu ceduto ai D’Appiano, principi di Piombino, e Beconcini lo ha comprato nei primi anni 2000, ristrutturandolo nel massimo rispetto della versione originale.