In fondo è una nicchia, ma i numeri del pomodoro da industria sono comunque importanti. Nel 2015 se ne sono trapiantati circa 72mila ettari, concentrati in due grandi territori: quello pugliese-campano (senza comunque dimenticare la Toscana) e il bacino del Nord, da Alessandria alla Romagna, con il grosso della superficie tra Parma, Piacenza e Ferrara. Fatti due conti, sono due miliardi e 700 milioni di piantine da mettere a dimora, milione più, milione meno. Tutte passano per una macchina che richiede ancora una importante presenza di manodopera. Una delle ultime, per la verità: la trapiantatrice. A beneficio di chi non seguisse questo prodotto, spieghiamo, in estrema sintesi, che per ogni elemento di trapianto (il numero di elementi per macchina è variabile da tre a sei, solitamente) serve un operatore che prenda le piantine dalla cassetta e le infili nei fori del tamburo rotante, da cui poi finiranno nel trapiantatore vero e proprio. Negli ultimi modelli, un operatore è in grado di alimentare due file (specie se binate).
C’è però un tipo di trapiantatrice che va oltre questa soluzione: è quella automatica, attrezzo che, in sostanza, azzera i bisogno di manodopera, riducendolo a un solo operatore. Negli ultimi dieci anni sono stati fatti diversi tentativi per costruire una macchina che sia al tempo stesso versatile ed efficiente; molti sono falliti, qualcuno ha congelato il progetto e qualcun altro è arrivato sul mercato. Cosicché, oggi come oggi, vi sono sostanzialmente due alternative per chi volesse passare a questa tecnologia: la Agriplanter del belga Agriplant (protagonista di una Prova in campo su questa rivista nel 2008) e la Futura di Ferrari Costruzioni Meccaniche. Anche Checchi e Magli, lo diciamo per completezza d’informazione, ha in catalogo una trapiantatrice automatica, la Magika. Tenuta però, al momento, in secondo piano dallo stesso costruttore.
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