Un’importante fonte di occupazione, integrazione di reddito ed elemento d’impatto ambientale positivo per l’agricoltura e l’ambiente rurale: questo si stanno rivelando le agroenergie per l’economia nazionale. Un bene, dunque, la loro crescita.
Positivo il bilancio del settore italiano delle agroenergie - biogas, biomasse, bioliquidi - presentato nell’ultima edizione del rapporto “Osservatorio Agroenergie”. Il rapporto ogni anno fa il punto della situazione di questo particolare settore delle rinnovabili e ne indica tendenze e sviluppi per il futuro prossimo. Lo studio di quest’anno – ancora coordinato da Althesys – indica una crescita del settore, sia economica, sia di potenza installata, sia di contributo alla produzione energetica nazionale da rinnovabile. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto di che dimensioni stiamo parlando? In Italia al 2012 le agroenergie contano una potenza installata di poco meno di 4GW, ovvero l’8% della produzione nazionale rinnovabile, percentuale che solo nel 2007 si assestava attorno al 6%. La parte del leone è svolta ancora dalle biomasse solide (essenzialmente legna) che ammontano al 38% della potenza installata, seguita da biogas (35%) e dai bioliquidi (27%). In termini economici stiamo parlando di un settore con un fatturato complessivo di circa 4 miliardi €, ovvero il 16% dell’intero fatturato del settore rinnovabile e lo 0,3% del Pil. Non molto apparentemente, ma non scordiamo che siamo in una fase economica in cui molti altri settori scrivono numeri negativi…
Sono circa 24.000 le persone che trovano lavoro nel comparto biomasse, ovvero lo 0,10% della forza lavoro italiana ed il 20% della forza lavoro occupata nel settore rinnovabile. Nel 2012 le agroenergie hanno messo a segno le maggiori crescite dopo il fotovoltaico. Solo il biogas da attività agricole è aumentato di circa 18 volte rispetto al 2008, con una potenza di 12.000GW circa (+130% rispetto a 5 anni prima), cioè il 13% sul totale delle rinnovabili. In Europa questo valore si assesta attorno al 20%, indicando dunque il ruolo ancora contenuto di queste tecnologie in Italia ma nel contempo anche le potenzialità di sviluppo della filiera nazionale. Quali le direzioni per il sistema paese? In ultima analisi è la legislazione che indica in che direzione andare, una legislazione che “è qualitativamente buona, ma forse un po’ lenta nell’adeguare gli incentivi alla realtà” afferma Piero Mattirolo, amministratore delegato di Agroenergia , promotore dello studio; una legislazione che “è a lungo termine un po’ troppo instabile per gli investitori” aggiunge Alessandro Marangoni, CEO di Althesys Strategic Consultants e coordinatore dello studio in questione.
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Due le novità che rispetto all’anno scorso dominano oggi il settore delle agroenergie italiane: il decreto per l’incentivazione del biometano e - finalmente! – l’attenzione all’energia termica, che va a correggere lo strabismo elettrico che finora ha caratterizzato il sistema di incentivazione nazionale. Non dimentichiamo, infatti, che di tutto il fabbisogno energetico italiano, il termico occupa la bellezza di un 40% circa: numeri da non sottovalutare.
Se a queste due novità aggiungiamo anche il decreto del luglio 2012 e la sua spinta verso l’utilizzo di sottoprodotti agricoli per la produzione di biogas, effettivamente non si può dar torto a Piero Mattirolo: ne risulta proprio un bel quadretto, lungimirante e altamente sostenibile, almeno nella teoria. Peccato poi che il conto termico abbia un orizzonte temporale al 2015, così anche l’ultimo quadro incentivi per biogas e biomasse; peccato che l’attuazione pratica dei decreti sia devoluta a regioni, province e comuni, venendo a creare un quadro legislativo frastagliato e burocratizzato; peccato poi che si pensi a misure retroattive su incentivi, autoconsumo etc., tutti elementi che fanno venire un dubbio sull’esistenza di una strategia energetica nazionale di ampio respiro e a lungo termine. Ma non vogliamo sempre lamentarci: le agroenergie crescono e in Italia stanno dando vita ad una filiera intimamente connessa con il territorio e l’attività agricola per la produzione di substrati e l’ utilizzo dei derivati e dell’energia verde; una filiera che ha fornito alla agricoltura modalità e strumenti per valorizzare ciò che prima era un costo da smaltire (reflui e sottoprodotti), riportandola ad una più oculata gestione del suolo e delle colture; una filiera che ha risvegliato l’agricoltura dalla stasi tecnologica in cui si trovava, aprendogli la possibilità di cooperare alla creazione di piattaforme tecnologiche verdi, ad alto contenuto di competenze. E non da ultimo si tratta di una filiera fedele al territorio: difficilmente potrà delocalizzare, dicendo: “Grazie per gli incentivi. Io ora vado a produrre in Canada!”.
Articolo di Maria Luisa Doldi