Meno terreni coltivati a vigneto, ma aumento del loro valore medio, soprattutto nelle zone che in questi anni hanno saputo lavorare sulla qualità e l’appeal dei propri vini. È la fotografia del mondo vitivinicolo nazionale, emersa nei dettagli di uno studio condotto dall'Area Research di Banca Monte dei Paschi di Siena, su "Filiera vitivinicola: tendenze e prospettive per l'Italia. La Toscana e i valori fondiari agricoli", che evidenzia come l'agricoltura sia ancora un buon investimento, specialmente quando si sceglie il vino e si creano le condizioni per l'export del prodotto, con particolare attenzione ai mercati emergenti e secondo cui le colline del Barolo, con un prezzo medio per ettaro di 600mila euro, rappresentano la zona più “cara” d’Italia, seguita dall’area del Lago di Caldaro in Alto Adige (500mila) e dal Prosecco delle alture di Valdobbiadene (405mila). Si difende la Toscana, che piazza al quarto posto i filari del Brunello di Montalcino (350mila euro), seguiti dall’area a Nord di Trento (320mila).
Nel complesso, emerge che in cinque anni, a partire dal 1999, in Italia la superficie vitata è scesa da poco meno di ottocentomila ettari (792.000) ai 642.000 registrati nel 2014. A farne le spese, però, sono soprattutto le zone marginali e quelle non a denominazione, a tutto vantaggio dei vigneti di maggior pregio che, nonostante il generale crollo dei prezzi agricoli, costante degli ultimi dieci anni, hanno registrato un andamento in controtendenza, in alcuni casi aumentando il proprio valore. Questo vale soprattutto al Nord, lungo un territorio che spazia dal Piemonte al Veneto e che tocca anche i preziosi vigneti d’altura della Valle d’Aosta, passando per la Franciacorta, la Piana Rotaliana e l’area di influenza del Prosecco nel Trevigiano fino ai Colli Euganei. Tutti territori dove chi ha investito negli anni passati acquistando terreni può senza dubbio dire di aver fatto un buon affare.
Lo studio non analizza aree dove il boom dei prezzi dell’uva e della bottiglie (ad esempio Franciacorta e Valpolicella) hanno causato negli ultimi anni una fortissima crescita dei valori dei terreni. Ma evidenzia come l’agricoltura sia ancora un buon investimento, specialmente quando si sceglie il vino e si creano le condizioni per l’export del prodotto, con particolare attenzione ai mercati emergenti. Oltre alla Toscana, che dopo un decennio di forte crescita vede ancora alti i valori dei terreni nel Chianti e a Montalcino, a Sud degli Appennini l’unica zona a mantenere alti valori fondiari è quella dei Castelli Romani, area di rifornimento storico dell’enorme mercato della capitale. Le regioni meridionali e le isole hanno invece forti spazi di crescita dato che i costi ad ettaro sono ancora abbordabili mentre l’enologia meridionale ha fatto passi da gigante attraendo investitori in aree particolarmente vocate e appetibili, oltre che per la realtà vitivinicola, anche per le risorse storico-artistiche e paesaggistiche, come nel caso della Sicilia orientale attorno all’Etna e occidentale, nel Trapanese, e nella Puglia salentina.
Più in generale il mercato mondiale del vino non ha registrato variazioni significative nel 2014, con la produzione e i consumi rispettivamente a 279 e 240 milioni di ettolitri: in questo contesto la Francia ha assunto la leadership produttiva con 47 milioni di ettolitri e l'Italia è al secondo posto con 44 milioni dopo il notevole calo del 2014. Per quanto riguarda i consumi, ottima la performance degli Usa che sono oggi il primo paese con poco meno di 30 milioni di ettolitri: il nord America cresce di importanza ed esprimeva nel 2013 il 23% dei consumi mondiali (20% nel 2000), mentre l'Europa è scesa dal 69 al 61% pur rimanendo la macroarea più rilevante. In crescita notevole anche i consumi asiatici, che sono passati dal 6 al 10% del totale nello stesso periodo. Sono proprio America ed Asia i mercati di esportazione più interessanti nel mondo. Per quanto riguarda l'Italia, le tendenze di lungo periodo sono la stabilizzazione della produzione (tra i 40 e i 50 milioni di ettolitri) ed il calo secolare dei consumi interni, che sono scesi da 30 a 20 milioni di ettolitri dal 2001 al 2014. Per il nostro Paese è diventata quindi una necessità primaria avere mercati di sbocco esteri, infatti le esportazioni sono aumentate di oltre il 70% in 10 anni sia in quantità che in valore.
Articolo di Emiliano Raccagni