Decompattare conservando

I decompattatori ad ancore ricurve hanno molti pregi come il basso assorbimento di potenza, l’ottima azione decompattante sul terreno, non alterare la superfice del terreno. In questo modello è combinato ad una dischiera a dischi ondulati (MAAG)
Le ancore, oltre ad essere l’utensile dei coltivatori, quando sono di maggiore spessore e dimensione, diventano l’elemento fondamentale dei decompattatori

I decompattatori sono attrezzature che rientrano nella grande famiglia dei ripuntatori, concepiti e utilizzati per rompere gli strati compattati formatisi a diverse profondità a causa delle lavorazioni ordinarie, del passaggio di macchine e delle caratteristiche strutturali di certi tipi di terreno. Rispetto ai ripuntatori, attrezzature caratterizzate da ancore con fusto dritto verticale e puntale semplice, i decompattatori sollevano in modo più evidente il terreno grazie all’azione di taglio condotta dalle speciali ancore di cui sono muniti. infatti il taglio non è solo verticale ma anche orizzontale. Tuttavia, non è sempre facile distinguerli dai ripuntatori perché, grazie all’applicazione di ali sul piede dell’ancora, il ripuntatore classico può operare in modo analogo.

I decompattatori arieggiano il terreno senza rivoltarlo e senza rimescolarne gli strati superficiali. L’azione di dirompimento, che mira a ripristinare porosità conducibilità idrica, è ottenuta tagliando e sollevando il terreno in profondità, lasciando quasi integro il profilo superficiale del suolo. Possono essere utilizzati in abbinamento con l’aratura superficiale, nella lavorazione a due strati, per decompattare il terreno nelle gestioni conservative del suolo o anche come unica lavorazione ridotta prima di una semina su sodo.

Queste sono quindi attrezzature vocate per lavorare in profondità con lo scopo di ripristinare condizioni fisiche idonee alla coltivazione. La profondità di lavoro è condizionata dall’altezza dell’ancora che deve garantire anche una adeguata luce libera sotto al telaio per consentire il deflusso del residuo colturale e del terreno. Il loro utilizzo infatti, rientra a pieno titolo nelle pratiche conservative sia per l’effetto agronomico della lavorazione, sia perché può agevolare l’adozione delle tecniche di semina diretta.

La profondità di lavoro dovrebbe essere di almeno 10 centimetri superiore alla massima profondità di aratura attuata sull’appezzamento in modo da garantire la rottura della suola di lavorazione o della profondità in cui si trova lo strato compattato. La luce libera sotto al telaio è invece variabile e dipende dal rigonfiamento del terreno e dell’entità di residui colturali presenti sulla superficie.

L’aumento dell’altezza dello strato lavorato in seguito all’aumento del suo volume è pari a circa un terzo della profondità di lavorazione. Nel caso in cui si operi in presenza di abbondanti e grossolani residui colturali la luce libera dovrà essere incrementata di ulteriori 20 cm. In linea generale, con pochi residui superficiali, i decompattatori ad ancore diritte possono raggiungere una profondità massima di lavoro pari a 75 centimetri, mentre quelli muniti di ancore ricurve lateralmente arrivano a 55 centimetri.

Le tipologie di telaio sono varie e annoverano ancore disposte lungo un medesimo trave rettilineo o la forma di “V”, su più ranghi nel caso l’attrezzatura sia vocato ad operare su medie profondità o quando è dotato di ancore ricurve e si vuole garantire il deflusso del residuo. La distanza tra le ancore risulta, a parità di condizioni, sempre maggiore di quella dei tradizionali ripuntatori. A titolo di esempio possiamo dire che il rapporto tra profondità effettiva di lavoro e distanza tra le ancore varia da 0,5 a 0,7 adottando i valori più bassi nel caso di lavorazioni più energiche. Sul parametro molto influiscono le tipologie di organo lavorante e la conformazione delle ancore stesse.

Le forme dell’ancora

L’ancora del decompattatore è costituita da tre parti: la parte prossimale al telaio, il corpo dell’ancora e la parte distale. La parte prossimale ha la funzione di collegare l’ancora al telaio mediante un dispositivo che contiene un sistema di sicurezza; il corpo centrale può presentare forma e lunghezza differenti, ed è dotato in molti casi di placche antiusura; la parte distale o piede è composto da un puntale o zappetta e altri organi idonei ad amplificarne l’azione.

Nelle ancore a fusto dritto l’azione sul suolo dipende in larga parte dalle caratteristiche del piede. Questo può essere dotato di un puntale di varia forma avente la funzione di migliorare la penetrazione dell’utensile nel terreno e di due alette laterali e simmetriche, caratterizzate da un angolo di incidenza al suolo più o meno accentuato che amplificano l’azione di dirompimento. Una variante è data da un utensile con alette laterali asimmetriche e puntale installato in corrispondenza dell’estremità dell’aletta con dimensioni maggiori. Alle ancore diritte è riconducibile anche quella con profilo ad “L” che assume questa forma grazie alla presenza di una sola aletta nella parte distale, inserita lateralmente al corpo centrale dell’utensile. Questa può essere perpendicolare o leggermente inclinata rispetto al corpo dell’ancora. Per migliorare la penetrazione in corrispondenza dell’estremità dell’aletta è presente un puntale a forma trapezoidale.

Nelle ancore caratterizzate da un fusto obliquo la parte distale dell’ancora risulta inclinata lateralmente di 45 gradi rispetto all’asse principale dell’utensile e termina con un puntale di forma trapezoidale che accentua l’effetto di penetrazione lungo il profilo del terreno. Nella parte posteriore della lama può essere presente un deflettore ad inclinazione variabile, il cui asse principale è parallelo a quello dell’ancora stessa: la regolazione dell’angolo formato dall'ancora e dal deflettore determina un più o meno accentuato effetto di disturbo al suolo.

Le ancore ricurve lateralmente hanno lunghezza variabile, sempre inferiore al metro, e la curvatura è rivolta verso il lato destro o sinistro; nella parte finale è presente un puntale, di forma trapezoidale o romboidale, reversibile o meno a seconda dei modelli, che ha la funzione di aumentare la penetrazione dell’ancora nel terreno.

Possibilità di impiego del decompattatore in base
allo stato e alla tessitura del suolo
Tessitura Stato del terreno
coesivo in tempera semi-plastico
Sciolta Possibile Possibile Sconsigliato
Medio impasto Possibile Consigliato Sconsigliato
Tenace Sconsigliato Consigliato Sconsigliato

Dispositivi complementari

Nei decompattatori è comune la presenza di dispositivi complementari come dischi, placche antiusura e rulli. Ad esempio, nei decompattatori destinati a lavorare sui prati permanenti o su terreni gestiti a sodo l’ancora è sempre preceduta da un disco, di forma piatta, con diametro di 25-35 centimetri, avente la funzione di tagliare superficialmente il terreno e gli eventuali residui, riducendo il rimescolamento del suolo lavorato ed evitando gli intasamenti. In pratica l’azione di taglio consente una più agevole penetrazione dell’organo lavorante nel terreno, con una riduzione dello sforzo di trazione in fase di lavorazione. La fessurazione verticale del disco comporta anche un minore rimescolamento del terreno con i residui colturali e riduce problemi di intasamento.

Le ruote di profondità, gommate o metalliche, hanno la funzione di mantenere costante la profondità di lavoro nelle attrezzature che non sono dotate di rulli. I rulli, tuttavia, oltre a consentire di regolare la profondità di lavoro e di mantenerla, svolgono la funzione di parziale affinamento, assestamento e livellamento del terreno. La tipologia del rullo va scelta in base al tipo di lavoro prodotto dall’attrezzatura, dal tipo di terreno e dalle lavorazioni che seguiranno l’intervento di decompattazione. Ad esempio, il rullo a gabbia permette di pareggiare ed affinare il terreno in modo grossolano, mentre il rullo packer svolge le stesse azioni in modo più efficace. Il rullo gommato invece assesta le zolle per ridurre la porosità lungo il profilo lavorato, un’esigenza che si può presentare lavorando su prati permanenti o anche su prati di campi sportivi.

Interazione con il terreno

L’azione prodotta dai decompattatori è più complessa di quella generata dai ripuntatori tradizionali. Tutte le tipologie di ancora tendono a sollevare lo strato lavorato, a fessurare verticalmente e in parte orizzontalmente il terreno e facendo ciò creano crepe e rotture interne alla massa del terreno. L’intensità delle diverse azioni dipende dalla forma dell’ancora, della parte distale del fusto.

Ad esempio l’ancora diritta a “T” capovolta o a “L” lascia indisturbata la superficie del terreno, in quanto essa opera un taglio verticale lungo l’intero profilo ed orizzontale in profondità. La disposizione e la reciproca distanza delle ancore se ben calcolata consente un innalzamento omogeneo della porzione di suolo interessato dalla lavorazione con conseguente decompattamento.

L’ancora obliqua lateralmente provoca un dissodamento localizzato alla zona in cui passa l’ancora, con una fessurazione laterale che può essere anche molto accentuata e un parziale e temporaneo sollevamento della fetta, con il successivo riassestamento del terreno in posizione originaria. L’ancora ricurva lateralmente crea una zollosità tendenzialmente ancora minore rispetto alle attrezzature precedenti grazie al fusto che ha il profilo di una lama. Anche in questo caso lo strato lavorato viene spinto dal basso verso l’alto producendo in modo molto efficace la disgregazione e la fessurazione del terreno con formazione di una ridotta zollosità superficiale.

In generale comunque, il profilo ottenuto dalla lavorazione del terreno con un decompattatore risulta più uniforme rispetto a quanto si può verificare dopo il passaggio di un ripuntatore tradizionale, sia che si adotti una lavorazione superficiale con ancore ravvicinate, sia che si adotti una lavorazione profonda. Questo effetto è tanto più apprezzabile quanto più l’intervento è eseguito con terreno in tempera, in quanto ciò garantisce un maggior sgretolamento delle zolle createsi, soprattutto per terreni di medio impasto o sciolti, per i quali l’azione delle ancore predispone il terreno alla semina diretta senza ulteriori passaggi per l’affinamento del letto di semina. Infine, ma non ultimo come importanza, la lavorazione risulta tanto migliore quanto più il terreno è nel complesso ben strutturato e ricco di sostanza organica. Lo sforzo specifico di trazione si aggira intorno a 4-6 kN/m2 di sezione di terreno lavorato.

La buona riuscita dell’operazione dipende molto dall’umidità del terreno (meglio più secco che umido), dalla sua struttura, dalla regolazione e dalla distanza tra le ancore. In presenza di terreno non in tempera e tendenzialmente secco, soprattutto se di natura argillosa, si ha un aumento della forza di trazione e degli slittamenti, una difficile disgregazione della massa e una maggiore scabrosità del profilo superficiale. Se il terreno è invece tendenzialmente umido aumenta lo slittamento e si perde buona parte dell’effetto disgregante.

Lo stato di tempera, variabile a seconda del tipo di terreno, rappresenta perciò il requisito essenziale per abbinare un buon effetto agronomico ad un soddisfacente risultato tecnico-funzionale. In alcune situazioni può risultare conveniente intervenire su terreno dotato di un contenuto di umidità inferiore (stato friabile).

Decompattare conservando - Ultima modifica: 2024-09-13T09:09:23+02:00 da Roberta Ponci

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