Nelle scorse settimane il mondo economico e politico europeo – ma le ripercussioni sono indubbiamente planetarie – è stato scosso dalla decisione italiana di firmare un protocollo per l’intensificazione degli scambi commerciali con la Cina e, prima ancora, per la creazione di una rete infrastrutturale per favorire i medesimi. In altre parole, la cosiddetta Via della Seta.
Al momento è davvero difficile valutarne i possibili risvolti. Indubbiamente, la Cina rappresenta un mercato enorme e soprattutto uno dei pochissimi ancora in via di sviluppo.
Lo sa bene chi ha iniziato a lavorarvi già diversi anni fa, come il gruppo Sdf, per esempio, oppure Massey Ferguson, Maschio Gaspardo, Bcs, New Holland, John Deere. E, nel campo della componentistica, colossi come Adr (assali) o Cbm (sollevatori e gruppi di traino per trattori), che ha da poco acquistato la Jingshan Company di Luoyang.
D’altra parte, per l’Europa la Cina è anche un formidabile concorrente: per elettronica e minuterie in primo luogo, ma anche per un settore specifico come le macchine agricole. Lo si vede bene con l’arrivo di marchi come Changzhou Dongfeng e Yto. Senza dimenticare, chiaramente, la vicenda Lovol e Arbos, di cui ci occuperemo più nel dettaglio.
Dubbi e perplessità
In linea generale, è possibile che la creazione di un percorso privilegiato favorisca ulteriormente la presenza di marchi cinesi in Europa, e Italia in primo luogo? Magari facendo concorrenza in un settore – quello degli specialistici – in cui i costruttori nostrani sono leader assoluti? La preoccupazione, inutile negarlo, esiste. E se ne fa portavoce, tra gli altri, Liliana Carraro, della Antonio Carraro: «Il documento firmato in Italia, al momento, ha poca sostanza. Lo abbiamo letto, ed è pieno soprattutto di principi e propositi, compreso quello di insegnare lo stile di vita italiano ai cinesi. Per le macchine agricole in particolare, al momento, di concreto non c’è nulla. Certo, è anche vero che i cinesi sono innamorati dell’Italia e questo ci favorisce, ma temo che i nostri prezzi siano ancora proibitivi per quel paese. Per quanto riguarda Carraro nello specifico, inoltre, hanno vigneti un po’ troppo larghi per le nostre attuali macchine. Peccato, perché sarebbe un bellissimo mercato».
Anche Antonio Salvaterra, direttore marketing di Argo, si è letto per bene il memorandum ed è sostanzialmente d’accordo con la collega: «Di concreto non c’è molto, se non qualche importante rimando alle infrastrutture; su cui l’Italia ha molto da dire, per esempio con il porto di Trieste».
A Salvaterra non sfugge il rischio di una relazione stretta con un paese che in passato non ha brillato per rispetto della concorrenza: «Parliamo di un mercato che cerca sempre nuovi sbocchi e che non si è mai distinto per il rispetto della proprietà intellettuale, talvolta anche nei nostri confronti. D’altra parte, se la Via della Seta fosse il presupposto per intavolare rapporti più corretti, potrebbe essere una grande opportunità. Argo, pur non avendo grandi interessi in quel paese, ha sempre un riflettore puntato su di esso».
Una Via che già c’è
Come abbiamo scritto, già diversi gruppi europei e anche italiani sono presenti in Cina. Fra questi, Maschio Gaspardo. «La nostra Via della Seta iniziò nel 2005, quando decidemmo di aprire un sito in Cina. Ora siamo presenti con una realtà produttiva da 15.000 attrezzature anno a Quindao nella provincia dello Shandong, con l’obiettivo di servire principalmente il mercato locale e del Far East», ci spiega Alessio Riulini, general manager per Cina, India ed Estremo Oriente.
La Cina, oggi, è un mercato da scoprire, secondo il manager: «Essere presenti localmente ci permette di cogliere le opportunità di un mercato in forte espansione in cui il fabbisogno di meccanizzazione agricola è ancora crescente, con potenzialità che si potranno esprimere quando verranno adottate tecniche agronomiche più aggiornate, una formazione adeguata e una gestione ottimizzata delle risorse naturali. Anche noi percepiamo un bisogno crescente di qualità nel prodotto e nel servizio da parte dei farmer cinesi e grazie a un ufficio di ricerca e sviluppo locale possiamo soddisfare le richieste specifiche di un mercato così complesso».
Per questo motivo, conclude il manager dell’azienda padovana, il miglioramento dei rapporti può essere positivo: «Il miglioramento della connettività con il gigante asiatico (tre giorni in meno di navigazione dalla Cina passando dal porto di Genova anziché da quello di Rotterdam), avrà risvolti significativi sull’import-export non soltanto dei prodotti agricoli.
Ci saranno importanti benefici anche nel commercio con i paesi dell’Est Europa, con il potenziamento dei porti di Trieste e Venezia, che diventerebbero un hub strategico per tutto il continente. In questo contesto un’azienda fortemente orientata all’export come la nostra è pronta a cogliere tutte le opportunità che si presenteranno».
Un ponte che unisce
Concludiamo con un marchio che, con la Cina, ha evidentemente un legame a filo doppio. Parliamo di Arbos, che in Cina ha solide radici nel colosso della meccanica agricola Lovol. In Italia, per la precisione a Migliarina di Carpi, ha invece mente e anima. «Per noi la collaborazione con la Cina ha rappresentato una grande opportunità di crescita, oltre che la possibilità di recuperare i valori di un antico e glorioso marchio italiano», ci dice Alessandro Zambelli, direttore marketing del gruppo. «Sebbene si siano lette anche opinioni contrarie rispetto al protocollo – prosegue – penso che Arbos sia la dimostrazione concreta di come la partnership con imprese del “Dragone” possa essere fonte di sviluppo per l’intero territorio, sia in termini economici sia occupazionali. In soli tre anni, grazie ai capitali cinesi siamo passati da start-up a realtà industriale internazionale, con 80 milioni di fatturato, due stabilimenti produttivi in Italia e oltre 400 persone impiegate. Questa è la nuova Via della Seta: un ponte che unisce culture competenze, tecnologie e risorse con aziende del territorio italiano che così possono tornare alla luce».
Nessun timore, dunque, ma al contrario massima attenzione alle opportunità che si potrebbero generare. «Comunque la si valuti, la nuova Via della Seta è una delle sfide decisive dei prossimi anni e l’esperienza dimostra che può trattarsi di una sfida che crea benefici per entrambe le parti. Per esempio, rendendo accessibili capitali che, purtroppo, non sono sempre disponibili in Italia. Indubbiamente – conclude Zambelli – il programma di investimenti lanciato dalla Cina pone l’Occidente davanti a interrogativi enormi: dal mio punto di vista si tratta di un circolo virtuoso, che va certamente alimentato e sostenuto attraverso il supporto politico e finanziario del Governo».
Buone prospettive per i componentisti
Pericoli ma anche opportunità: è ciò che Piergiorgio Salvarani, presidente dei componentisti di Federunacoma (Comacomp) vede nella nuova Via della Seta: «L’idea di sviluppare le relazioni commerciali con la Cina rinnovando la tradizione della “Via della seta” è suggestiva, ma la questione deve essere affrontata in modo pragmatico. Ancora oggi la Cina rappresenta in molti casi un concorrente sleale, vedi in particolare in settori come quello del gardening che si trova spesso nella necessità di difendere i propri brevetti e contrastare i prodotti contraffatti. Inoltre la politica di alcune aziende cinesi è quella di acquisire marchi e tecnologie italiani che consentano una migliore penetrazione sui mercati occidentali e un rafforzamento della loro offerta».
Minori rischi, secondo Salvarani, per i componentisti. «Si tratta di una situazione in parte differente, perché le industrie costruttrici hanno bisogno di forniture di qualità e per queste si rivolgono ad aziende specializzate come quelle italiane, che hanno standard molto elevati. Ciò non soltanto allontana il pericolo di un’invasione di prodotti cinesi, ma apre per le industrie italiane prospettive di business proprio in Cina, dove le case costruttrici sono consapevoli che la qualità dei componenti rappresenta il requisito fondamentale per la qualità delle macchine stesse».