In questo spazio siamo soliti mostrare collezioni – alcune amatoriali, altre molto complete – di trattori d’epoca, nella più larga accezione di questo termine. Si tratta, praticamente sempre, di raccolte private, a uso e consumo del proprietario e di pochi familiari o amici. Non questa volta, tuttavia, dal momento che entreremo in un vero e proprio museo, aperto a tutti e soprattutto gratuito.
A pensarlo, realizzarlo e gestirlo è Franco Leoni, mantovano di nascita, ma pavese d’adozione, che in quasi settant’anni ha messo assieme non soltanto un’importante collezione di trattori, i più vecchi dei quali risalgono agli anni della Grande guerra, ma l’ha affiancata a un’imponente raccolta di attrezzi e accessori della vita contadina e dei mestieri artigiani, oltre che a documenti di ogni tipo. Si va dalla storia dei paesi del circondario a una delle poche copie della dichiarazione di vittoria del generale Armando Diaz, il 4 novembre 1918. Non mancano documenti commerciali del XVIII e XIX secolo, una piccola raccolta di fossili e reperti archeologici recuperati nel vicino fiume Po e infine il mezzo usato dal generale Rommel per i suoi spostamenti nel deserto. Un pezzo, ovviamente, unico.
La collezione di una vita
Vuoi per la dimensione, vuoi perché rappresentano il primo amore di Leoni, i trattori occupano tuttavia lo spazio di gran lunga più ampio del museo. Il quale, come abbiamo scritto, è stato costruito pezzo dopo pezzo nel corso degli ultimi 68 anni da un uomo che, ora, di anni ne ha 78. «Iniziai, in effetti, a dieci anni, con un testacalda. Eravamo alla fine degli anni Quaranta, subito dopo la guerra. A quei tempi si cominciavano a vedere nelle campagne i primi semidiesel e mi resi presto conto che i testacalda sarebbero rapidamente scomparsi dalla scena, tanto è vero che a metà degli anni Settanta molti hanno cominciato a disfarsene e i rigattieri li portavano via quasi gratis, dopodiché li facevano a pezzi e li rivendevano alle fonderie. Decisi che qualcuna di quelle vecchie glorie si doveva salvare e così iniziai a raccoglierli. Purtroppo non avevo spazio dove tenerli, altrimenti oggi ne avrei più di mille», ci racconta.
La sua, insomma, è la collezione di tutta una vita. «I trattori e via via gli altri pezzi che raccolsi sono sempre stati con me, anche nei miei traslochi. Dal Mantovano, mia terra d’origine, a Milano, quindi a Corsico e infine in Oltrepò Pavese». Dove Leoni decide di creare il suo museo personale. «Avevo anche individuato una collocazione ideale, una bellissima cascina sulle rive del Po. Purtroppo non riuscii a comprarla e mi orientai allora su uno stabile industriale di Portalbera, dove tutt’ora ha sede il museo». Siamo, infatti, alle porte di questo piccolo comune adagiato sulla sponda destra del Po, a pochi chilometri dalle colline oltrepadane. Qui, in tempi e modi da concordare con il proprietario-custode, la collezione Leoni è visibile a tutti, gratuitamente.
«Non ho mai voluto far pagare un biglietto perché credo nella condivisione della cultura e soprattutto nella necessità di salvare un pezzo della nostra storia recente dall’oblio. Chiunque può venire a conoscere la raccolta; le porte sono aperte e l’ingresso assolutamente libero. Con la bella stagione ricevo la visita di decine di scolaresche – arriviamo a due autobus a settimana in certi momenti – e anche se so bene che qualche agriturismo della zona chiede soldi per far vedere due vecchi trattori e qualche animale, io non ho mai voluto adeguarmi, preferendo invece sostenere tutte le spese con le mie tasche e con l’aiuto di qualche abitante del luogo, che ringrazio di cuore». Leoni riceve visite da tutta la Lombardia, ma non soltanto. «Arrivano anche dall’estero: gli ultimi sono stati 150 londinesi. Poi ci sono le case di riposo: se le scuole vengono per conoscere un mondo scomparso, gli anziani mi visitano per rivedere cose e ambienti della loro gioventù e, una volta qui, i momenti di commozione si sprecano».
La Raccolta museale etnografica Franco Leoni – questo il nome completo della collezione – ha ricevuto spesso e volentieri visite dalle autorità. «Sono venuti in molti, dagli amministratori ai politici locali, fino al sovrintendente del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, che si è stupito di come potessi mandare avanti tutto questo senza un finanziamento. Gli ho risposto che non dovendo spendere milioni per ristrutturare saloni ottocenteschi, me la cavo ancora. Purtroppo – conclude Leoni – so benissimo che chi ha raccolte di questo tipo, anche assai più modeste, è alla costante ricerca di contributi pubblici».
Dai Pavesi e Tolotti al russo Wladimir
Non è, evidentemente, il caso del nostro ospite. Che, osservando il lavoro di una vita, ha un solo rammarico: non sapere cosa accadrà del medesimo quando lui non sarà più in grado di occuparsene. «Purtroppo tutto questo è destinato a scomparire. I figli non hanno la mia stessa passione né il tempo di seguire il museo e quindi, quando non ci sarò più, la raccolta sarà persa. È un vero peccato, perché, oltre a ciò che si vede esposto, tra scaffali e magazzini c’è materiale per farne altri due, di musei».
Andiamo a scoprire, allora, cosa c’è in riva al Po. Come abbiamo anticipato, alcune sale sono destinate a un’esposizione sulla civiltà contadina: attrezzi da lavoro, utensili di cucina, tessuti e molto altro ancora. Ma non è, come ovvio, la parte che più ci interessa, al di là di apprezzarne la disposizione. Passiamo allora ai trattori. Fra cui troviamo, come ci segnala il proprietario, alcuni pezzi piuttosto rari. Per esempio, i Pavesi e Tolotti usati per il traino dei cannoni: furono i primi trattori italiani a doppia trazione e fin dal primo conflitto mondiale il regio esercito li utilizzò come trattori d’artiglieria. «Ho anche un Lanz del 1928, più altri più o meno contemporanei, che tuttavia attualmente sono in giro per manifestazioni varie». Perché Leoni non soltanto ama partecipare a qualche rievocazione, ma, dietro richiesta, presta le sue macchine per fiere ed esposizioni di vario tipo.
Proseguendo in questa rapida e forzatamente incompleta panoramica, troviamo una bella collezione di Same, tra cui un 4R 10, non facile da trovare, e naturalmente un notevole assortimento di Landini. Ma un po’ tutti i marchi sono rappresentati: sia quelli del passato, sia quelli ancora in piena attività. Come John Deere, presente con un M30 del 1958, bicilindrico a benzina da 27 cv, e un AWH35 da 35 cv del 1952; oppure Fendt, rappresentato da un F 25 Dieselross da 25-35 cv. Abbiamo anche uno Steyr 188 degli anni ‘60, bicilindrico a gasolio da 28 cv, oltre a diversi Fiat.
Sono però i marchi del passato ad appassionare di più, come ovvio. Per esempio, l’Austin SA3 del 1922, quadricilindrico a benzina da 15-25 cv di produzione francese. Oppure il Fordson E27N del 1936, quadricilindrico da 4,3 litri a petrolio, in grado di sviluppare 30 cavalli. Interessante anche l’Ursus C 45 della Italtractor di Voghera, testacalda da 10,3 litri per un totale di 45 cavalli, al momento privo di motore, oppure i due Oto Melara C 25C e C 25R: identici in tutto – monocilindrici a iniezione diretta da 1,8 litri, 22 cavalli, anno 1955, tranne che nel ponte: quello dell’Oto 25R poteva essere sostituito per trasformarlo in un cingolato. Fra gli italiani ricordiamo ancora il Meroni Eron D18, monocilindrico a gasolio da 17 cv, anno 1956. Come curiosità segnaliamo invece il Bolinder Munktell BM-21, un testacalda in cui era necessario riscaldare la testata bicilindrica per ottenere l’avviamento. Bolinder e Munktell erano due officine svedesi, fusesi assieme negli anni Trenta e acquistate poi da Volvo nel 1950.
Concludiamo con un trattore “a scoppio”, nel vero senso della parola: l’inglese Field Marshall, che si avviava introducendo prima la classica sigaretta e poi con la pressione provocata da una cartuccia da fucile (ovviamente senza pallini), sparata – è il caso di dirlo – dentro il cilindro. Un altro pezzo inconsueto che Franco Leoni mette a disposizione della memoria collettiva.
Il nuovo direttivo del Gamae al debutto
In occasione del tradizionale pranzo sociale di inizio anno, il Gamae (Gruppo Amatori Macchine Agricole d’Epoca) di Bagnolo in Piano (Re) ha visto “debuttare” il neopresidente Rino Benatti, eletto nell’estate 2016 insieme al nuovo Consiglio Direttivo 2016-2019.
In queste fotografie alcune immagini del pranzo sociale, che ha visto come sempre una massiccia partecipazione da parte dei soci.
«La nostra associazione è come una quercia secolare – ha detto Benatti – e i soci ne rappresentano le solide radici».