Ogni storia che raccontiamo in questa rubrica è contraddistinta da una sua particolarità e quella di questo numero di originalità ne ha da vendere. Il protagonista è Giovanni Maffei, imprenditore di Parma, che ha passato la sua prima adolescenza nell’azienda agricola di famiglia, guidando trattori e respirando l’aria di campagna, in particolare campi di erba medica (e altre colture in rotazione) finalizzati alla produzione di Parmigiano Reggiano. Fino a quando suo padre, terminate le scuole elementari, non decise di sistemarlo in un collegio.
«Da bambino avevo un carattere particolarmente vivace e a volte ero un po’ troppo diretto nell’esprimere le mie opinioni – spiega Giovanni – cosa che non piaceva affatto all’ambiente contadino di quel tempo, perciò mio padre decise di mandarmi in collegio per “togliermi un po’ di ruggine”. Ho così trascorso la seconda parte della mia adolescenza dai Salesiani ed essendo stato via tanti anni, ho finito con il perdere i contatti con il mondo agricolo, anche se nel periodo delle vacanze estive tornavo a casa. Diciamo che per l’agricoltura avevo una passione relativa, ma in quel mondo apprezzavano solo quelli che erano grandissimi lavoratori. E io grandissimo lavoratore non lo ero affatto».
Memorie indelebili
Giovanni ci racconta tanti aneddoti che testimoniano la sua indole giovanile un po’ scapestrata e che lo portano ad allontanarsi dal mondo rurale, ma anche se il lavoro della campagna non faceva per lui, di sicuro non era privo di ingegno. Tanto che, finiti gli studi, nel 1983 fonda un’importante azienda (Meverin, ndr) che nel suo settore oggi è all’avanguardia e dove lavorano anche le sue due figlie ingegneri. Ma nonostante le grandi soddisfazioni dal punto di vista lavorativo in un comparto diverso da quello agricolo, quei primi anni della sua adolescenza trascorsi a vivere la vera e propria vita di campagna hanno lasciato un segno importante, se non indelebile. E quando nel 2005 diventa erede “definitivo” dell’azienda di famiglia, decide di tenerla, la prende personalmente in gestione e la potenzia (l’azienda oggi si estende su circa 100 ettari e fornisce ottimi risultati).
«In realtà sono sempre rimasto interessato all’azienda agricola – racconta Giovanni – ma non avevo assolutamente voce in capitolo, per via del mio comportamento che mal si conciliava con la mentalità degli agricoltori di quel tempo e che aveva indotto i miei parenti a tenermi lontano dall’attività agricola. Temevano addirittura che potessi dilapidare le risorse dell’azienda, quando invece io avevo già la mia attività che andava molto bene».
Una volta ereditata l’azienda, nonostante questo rapporto conflittuale con il mondo agricolo, Maffei decide allora di dare il via alla sua collezione di trattori d’epoca: «In realtà è un’idea che ho sempre avuto in testa – confessa – perché quando uno vive in campagna e gira scalzo per l’aia, certe sensazioni ti rimangono impresse». La collezione si basa per lo più sul recupero di tutti i trattori che sono transitati appunto nell’azienda, a partire da un Ferguson FE 35 del 1956, soprannominato “pancia oro” per via del color bronzo dorato delle parti meccaniche, che Maffei descrive come una «macchina riuscita male, con dei problemi al motore. Era uno dei primi che avevano consegnato qui a Parma e io sono cresciuto da ragazzo su quel trattore lì, in particolare quando si doveva andare a distribuire il letame nei campi. A suo tempo era una macchina all’avanguardia rispetto alla concorrenza, una sorta di Rolls Royce, tant’è che io da bravo attaccabrighe andavo a provocare i vicini che possedevano magari un Fiat e replicavano che il Ferguson era una macchina bella, ma senza potenza».
Conservati più che restaurati
A differenza della maggior parte dei trattori in collezione, che sono degli ottimi conservati, ma restaurati solo dal punto di vista della meccanica, questo Ferguson è stato restaurato anche esteriormente. «Solo il volante l’ho lasciato volutamente in originale, per rendere l’idea di quanto i miei avessero utilizzato il trattore fino a consumarlo».
Altro trattore che incontriamo è un Ford 9N, ultimo modello frutto della collaborazione tra Henry Ford e la Harry Ferguson prima delle morte di Henry Ford nel 1947, con ancora la scritta Ferguson System sulla griglia anteriore. Così come importante è il Titan 10-20 della International Harvester, «sicuramente il più vecchio che ho in collezione – conferma Maffei – e che era presente in azienda, anche se io non l’ho mai visto».
A seguire segnaliamo un McCormick-Deering 10-20 degli anni 30, uno Schlüter AS 30 e altri trattori “minori” come una carioca Del Monte, che Maffei ha recuperato in tre esemplari (due conservati e uno restaurato), un Fordson Super Major “allungato”, («il trattore nasceva con 40 cavalli di potenza, ma in questo caso era l’importatore italiano a montare il motore Ford industriale da camion da 100 cavalli», spiega Maffei), un Sametto 120 («alcune macchine venivano scelte semplicemente perché le aveva il vicino», precisa Maffei), un Fendt Farmer 1 da 25 cv del 1958, un Massey Ferguson 50 HP del 1960 e diversi Fiat: 25 con barra falciante del 1952, 25 C (due esemplari, uno dei quali restaurato in toto), 600, ma soprattutto un 780 del 1975. «Quest’ultimo forse è affettivamente il modello più importante per me – ricorda Maffei – perché era il “fuoristrada” di mio padre: quando arrivava qui nella mia azienda con il 780 significava che aveva qualcosa da dire sul mio operato, con pochissime parole, a volte solo scuotendo la testa»).
Ci sono anche due Landini in collezione (un L25 e un SuperLandini), anche se, ci tiene a ribadire Maffei, «erano dei vicini, perché a casa nostra quelle macchine lì erano bandite». A livello di curiosità da citare anche un Porsche Junior con barra falciante, anche questo “superrestaurato”, preso da Maffei (grande ammiratore di Ferrari) quasi per schernire il brand tedesco, nel senso che «Porsche è una macchina per pulire i fossi, mentre Ferrari è Ferrari…».
Ancora due modelli mancanti
Il pezzo forte della collezione è un Oto 25, a cui abbiamo riservato un box a parte, mentre l’ultimo acquisto è un motore fisso «che sto facendo restaurare da Gabriele Begnozzi – precisa Maffei – e che piazzerò in mezzo a una rotonda che realizzerò qui in azienda: si tratta di un monocilindrico da banco Deutz MIH 338 da 40 cavalli, degli anni 30, con volano Alfa Romeo, perché in Italia era commercializzato dall’Alfa Romeo e infatti è marcato Alfa Romeo. Questo motore era stato acquistato dal mio caro amico Silvio Pasini, grande collezionista e intenditore di trattori agricoli». Maffei ha recuperato quasi tutti i trattori che stava cercando, fatta eccezione per due modelli, un Morris e uno Steyr. «Di questi purtroppo ho solo memoria, non ho dati certi e non ho più nessuno a cui chiedere – racconta Maffei –. Il Morris dovrebbe essere facile da trovare, mentre lo Steyr, nonostante le tante ricerche fatte, non sono riuscito a individuarlo: ho solo dei flash, lo ricordo come un “gippone”, mentre il mio amico Giacomo Mainardi sostiene che fosse uno Stover».
Questi due modelli potrebbero rappresentare l’ultimo sogno nel cassetto di Giovanni Maffei, per il resto «non ho intenzione di avventurarmi in altri acquisti – conclude –. Ma conoscendo il mondo dell’antiquariato (Maffei è anche un grande collezionista di arte moderna, ndr), devo stare attento, perché magari mi propongono qualcosa e se faccio un’offerta al ribasso, succede sistematicamente che cedono e a me tocca pagare».
IL PEZZO FORTE DELLA COLLEZIONE
Il pezzo più importante della collezione di Giovanni Maffei è un Oto R3 con motore diesel monocilindrico orizzontale da 18 cavalli e 1.720 cc di cilindrata, cambio a 3 marce più retromarcia, che ha la particolarità di essere il primo esemplare costruito dall’azienda spezzina nel 1950, come testimoniato dal numero di matricola (00100) riportato sul libretto originale del trattore, un'assoluta rarità. «Questo trattore mi è capitato per caso – racconta Maffei – e c’entra in parte con l’azienda di mio padre perché i vicini possedevano un Oto. Era una macchina molto difficile da guidare, con i pedali dei freni a sinistra e quello della frizione a destra e un sistema di sterzatura complicato. Nel complesso, secondo me era molto lontano dai livelli di modelli coetanei come per esempio il Ferguson FE 35».