Se la collezione di cui parliamo in questo numero fosse un film, non ci sarebbero dubbi: si intitolerebbe “Il perfezionista”. Paolo Ferracchiato, in quel di Spoleto (Pg), con la collaborazione del padre Giampietro e dei figli Gabriele e Lorenzo, possiede infatti una collezione composta da non molti pezzi, ma con una caratteristica comune: la perfezione del restauro. E nell’arco di quasi quindici anni di articoli sui collezionisti di macchine agricole d’epoca, una qualità così ricercata facciamo fatica a ricordarla.
Attualmente operaio presso le Acciaierie di Terni, Paolo ha ereditato la passione per i trattori d’epoca prima dal nonno (agricoltore a titolo principale) e poi dal padre, che gestiva l’azienda agricola come seconda attività. Sia Paolo sia Giampietro ancora oggi possiedono ciascuno un’azienda agricola. «Mio padre era molto bravo a riparare, sabbiare, ricostruire e riverniciare – racconta Paolo – tanto che molti attrezzi li ha ricostruiti lui. Da piccolo lo vedevo sempre smontare e riverniciare, per cui piano piano mi sono appassionato e a mia volta ho trasmesso la passione ai miei figli».
I figli sono ancora giovani, ma uno in particolare, Gabriele, 16 anni, è davvero portato per la meccanica. «Due dei tre motori Lombardini a petrolio che possediamo (LA 80, LA 82 e LA 85) li ha rimessi in funzione lui da solo – ricorda orgoglioso Paolo – recuperando piano piano i vari pezzi mancanti». Ecco, quindi, che il restauro diventa una sorta di lavoro di squadra. «Sulla struttura/carrozzeria interviene mio padre – spiega Paolo – che ripristina anche i pezzi mancanti e vernicia, mentre io sono addetto alla sabbiatura e i figli ci danno una mano. Dal punto di vista della meccanica e dei motori, infine, mi appoggio all’amico Sergio Bibiani, titolare di un’officina qui vicino e anche lui socio Gamae».
Targa Oro Asi
Andiamo a vedere allora questi restauri “stellari”, che già si capiscono guardando le foto pubblicate in questo articolo e si avvalgono tutti della targa Oro Asi. Partendo da quello che Paolo definisce “il miglior restauro che abbiamo fatto”, ovvero un Fiat 25RD del 1955 che, anche se economicamente è il pezzo di minor valore, tecnicamente è quello che vale di più perché presenta tutti i suoi pezzi originali, come se fosse appena uscito di fabbrica. «Lo abbiamo recuperato a Marsciano (Pg) con l’idea di darlo a Gabriele per andare in campo ad arare – spiega Paolo – ma dopo tutto il tempo e i soldi che ci abbiamo dedicato per sistemarlo (dal cambio al motore ai cuscinetti) sinceramente non mi andava che finisse in campo».
Più o meno stessa sorte è toccata allo Slanzi SD 53 Amico del 1954, con motore DV15T da 17 cv, recuperato dal vicino di casa, che inizialmente aveva chiesto di sistemarglielo, ma poi glielo ha venduto proprio per la bellezza del restauro. Per accondiscendere comunque alla passione di Lorenzo per l’aratura, Paolo ha comprato un Landini L35 del 1955, che ha ricevuto dall’Asi l’attestato di “restauro da lode” come il Fiat 25RD, ma non presenta tutti i pezzi originali (vedi per esempio fanali e sedile). Il Lugli Golia del 1958, con motore VM da 12,5 cv, è stato invece preso fondamentalmente per i figli, perché pratico da caricare e facile da guidare anche per un ragazzino.
L’ultimo trattore in collezione è un Fiat 411 C/1 del 1967 appartenuto al nonno materno (Antonio D’Agata), mantenuto in condizioni quasi perfette e quindi non riverniciato. Il 411 C ci introduce ad altre due macchine “di famiglia”, ovvero una motozappa Benassi appartenuta al nonno della moglie di Paolo, e una mietilega Bcs 622 del 1977. «La motozappa l’abbiamo recuperata su richiesta specifica di mia moglie – spiega Paolo – e rifatta nei minimi dettagli, come ad esempio le leve della frizione, che sono state sabbiate e zincate, e gli adesivi originali. Questa è la differenza tra la perfezione e un semplice restauro».
Altra macchina restaurata magistralmente è la trebbia Italo Svizzera 0,71 a paglia lunga. «L’ho recuperata a Terni e non è stato facile trovarla, perché così piccole ne avevano prodotte poche (fin dall’inizio, infatti, la trebbia è stata concepita come macchina da contoterzisti, e quindi grande). Era comunque in buone condizioni, ma non mi soddisfaceva del tutto perché avevano tolto il praticabile per mettere l’imboccatore automatico. Così la prima cosa che ho fatto quando l’abbiamo portata a casa è stata ripristinare il praticabile, per poi riverniciarla e ricostruire anche le matrici adesive».
Motori e attrezzi vari
Chiudiamo il capitolo macchine con il veicolo industriale Hydrocar T30 della Linde, attualmente in attesa di targa Oro Asi. «In pratica è il primo progetto idrostatico della Linde del 1971 – spiega Paolo – che ho recuperato proprio dalle acciaierie dove lavoro. Non ha frizione, ma solo due pedali, uno per andare avanti e uno per la retromarcia, per cui per fermarti devi trovare il giusto bilanciamento tra i due pedali. La Linde ne produsse pochissime unità e, prima di montare il motore Deutz, aveva realizzato un centinaio di esemplari con struttura e motore Güldner».
Chiudono la collezione diversi motori, dallo stazionario diesel Deutz MAH 914 (prodotto negli anni ‘50) ai Lombardini sopracitati, da uno Slanzi SA 16 a benzina da 7,5 cv a uno della trevigiana Acme da 12 cavalli (altri due Acme sono in fase di restauro) fino a un Ruggerini RA 4 a petrolio da 4 cavalli (con tappi originali in bachelite), senza dimenticare i tantissimi attrezzi contadini e altre particolarità, come uno svecciatoio per grano Parigi 1900 della bolognese Ettore Pirazzoli, un torchio per uva manuale (diraspatrice), un trinciaforaggi della F. lli Grottoli di Pesaro di 60 anni fa e una seminatrice di un costruttore locale (probabilmente Giulidori). In tutti i casi il restauro non ha mai badato a spese e il risultato è evidente.
Accenniamo infine all’associazionismo e al Gamae. «Sono socio da un paio di anni e mi sono iscritto soprattutto per amicizia con il consigliere Gabriele Begnozzi e il presidente Rino Benatti, conosciuti tramite Gianfranco Tardioli (presidente Commissione Asi Macchine agricole). E poi è il club più importante a livello nazionale, quindi merita sostegno». E in futuro? «Il sogno di mio figlio è un Landini Vèlite in fusione – conclude Paolo – ma adesso non me la sento di investire soldi. Vedremo». Che Paolo non si fermerà è evidente, ma la cosa più bella è che per questa collezione si prospetta un lungo futuro, vista la passione che ha già contagiato i figli.