Non basta la crisi. L’agricoltura italiana, nel tentativo di mantenere quote di mercato in un periodo non facile, è sempre più aggredita da due nemici, uno esterno e uno tutto italiano, che hanno in comune la parola illegalità. Si tratta, infatti della contraffazione alimentare, un vero e proprio sistema di agropirateria internazionale e delle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle più tipiche filiere del Made in Italy.
Che sugli scaffali americani ci si possa imbattere in una miriadi di prodotti che di tricolore hanno solo vistosi richiami sulle confezioni, è storia ormai nota. Così come sono note le cifre, mostruose, da capogiro, che i vari “parmesan” prodotti in Wisconsin o in Brasile o Chianti americani e improbabili mozzarelle tedesche erodono alle produzioni a denominazione d’origine italiane. Secondo Coldiretti, sono 60 i miliardi di euro fatturati dall’industria della contraffazione, che oggi non si limita a camuffare con nomi ammiccanti ai prodotti del Belpaese, ma in alcuni casi lancia dei veri e propri kit riservati a produttori che in pochi passi cercano di riprodurre consistenze e sapori che da noi si tramandano da secoli. Anche durante l’ultima edizione di Fieragricola le organizzazioni professionali hanno denunciato da una parte la perdita di fatturato per l’agricoltura italiana, acuita dalla crisi e quindi dalla tendenza di molti produttori a cercare boccate d’ossigeno sui mercati esteri. Mercati dove, però, si trovano a dover affrontare una concorrenza che non segue le stesse regole. Da qui, la richiesta al Governo perché si solleciti attraverso il WTO (organizzazione Mondiale del Commercio) un rafforzamento degli accordi per la protezione delle denominazioni protette dai falsi, oltre all’impegno in Europa sulla tracciabilità in etichetta, per la quale è interesse di molti Paesi fare orecchie da mercante.
E veniamo al fronte interno. Parlino per tutti i dati sui sequestri, che nel 2014 “Hanno già raggiunto il valore di circa mezzo miliardo nell'agricoltura e nell'alimentare, diventate aree prioritarie di investimento dalla criminalità organizzata, che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perché del cibo, anche in tempi di difficoltà, nessuno potrà fare a meno, ma soprattutto perché consente di infiltrare in modo capillare la società civile e condizionare la via quotidiana delle imprese e delle persone". Sono le parole di Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, che per contrastare questo fenomeno ha sostenuto la nascita in Italia della Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare, con la presidenza del Comitato Scientifico del procuratore Giancarlo Caselli. Secondo i dati è indiscutibile come le principali organizzazioni criminali italiane siano state tutte coinvolte nelle operazioni più rilevanti dei primi due mesi del 2014,che riguardano sequestri di imprese, fabbricati, centinaia di ettari di terreni, locali per la vendita e la distribuzione.
La tendenza in atto è destinata a far salire il volume d'affari complessivo della criminalità organizzata che, secondo il rapporto Agromafie Coldiretti/Eurispes, aveva raggiunto circa 14 miliardi di euro nel 2013, con un aumento record del 12 per cento rispetto a due anni fa, in netta controtendenza rispetto alla fase recessiva del Paese. L’equazione è semplice: più le imprese soffrono la crisi, più le mafie approfittano del tessuto economico indebolito per fare affari, riuscendo a imporre il proprio controllo sulla produzione e la distribuzione di generi alimentari del tutto eterogenei tra loro. Controllano in molti territori la distribuzione e talvolta anche la produzione del latte, della carne, della mozzarella, del caffè, dello zucchero, dell'acqua minerale, della farina, del pane clandestino, del burro e, soprattutto, della frutta e della verdura.
Articolo di Emiliano Raccagni