Gli anglosassoni le chiamano le green manure, cioè il letame verde surrogato di quello bovino, una sorta di “letame vegano”, composto di sola biomassa vegetale. Le cover crop sono coltivate fra una coltura principale e la successiva; nel nord Italia soprattutto durante il periodo invernale fra due colture a ciclo estivo, come ad esempio mais e soia. Della cover crop non raccogli nulla perché l’intera biomassa prodotta è lasciata sul campo, a differenza invece dei secondi raccolti che, come evoca il nome, almeno un po’ di prodotto lo forniscono. Tuttavia cover crop e secondi raccolti, soprattutto quelli a ciclo invernale, condividono molti aspetti benefici. Entrambi, ad esempio, mantengono protetto il suolo, lo arricchiscono di sostanza organica, sostengono lo sviluppo della biomassa vivente nel terreno, ecc. La principale differenza sta che le prime possono adattarsi a cicli di durata inferiore rispetto alle seconde, che prevedono che la raccolta avvenga solo al raggiungimento di uno specifico grado di maturazione. Infatti le cover crop si possono terminare quando serve e non è richiesto che completino il loro ciclo vegetativo, come invece è necessario che accada con i secondi raccolti. Proprio per questo motivo i secondi raccolti sono molto più diffusi nelle aziende foraggero- zootecniche o foraggero bio-metaniche dove le colture principali sono destinate alla produzione di insilati e per questo raccolti alla maturazione cerosa (insilati energetici), mentre i secondi raccolti sono destinati alla produzione di fieni o insilati fibrosi e raccolta prevista (in molti casi) alla fioritura. Quindi cicli più brevi che consentono di realizzare due raccolti in soli dodici mesi, aiutate in questo anche dai cambiamenti climatici che prolungano la durata del periodo vegetativo.
Le cover crop un tempo venivano sovesciate utilizzando strumenti dotati di versoio, oggi si preferisce lasciarle in superficie provvedendo a devitalizzarle meccanicamente o chimicamente. In questo modo continuano a proteggere il suolo finto a che la coltura principale non copre il terreno. Sempre più frequentemente le semine sono eseguite direttamente sulla cover crop limitando le lavorazioni di transizione a uno o al massimo due interventi. In altri casi si agisce in modo più convenzionale eseguendo un numero maggiore di interventi a seconda delle necessità. Nella gestione delle cover crop le scelte di meccanizzazione possibili sono molte e dipendono da alcune specifiche condizioni.
Condizioni operative
La prima riguarda la necessità di garantire alla cover crop condizioni agronomiche tali da consentire loro di creare una quantità di biomassa che appaghi gli sforzi compiuti. Indicativamente una buona produzione invernale dovrebbe almeno raggiungere le 4 tonnellate di sostanza secca per ettaro, ricomprendendo in questo valore anche gli apparati radicali. Ovviamente queste performance si raggiungono e superano solo garantendo una adeguata durata al ciclo colturale che quindi non potrà essere troppo breve. Di conseguenza l’intervallo di tempo disponibile per l’impianto della cover crop e poi, al termine del suo ciclo, per l’impianto della coltura principale tendono a ridursi. È quindi evidente come sia necessario individuare una strategia di meccanizzazione che, riducendo i tempi persi, consenta di introdurre la coltura di copertura senza penalizzare quella principale.
La seconda riguarda la lavorabilità del terreno. Infatti, la cover crop tende a mantenere il terreno più umido di quello nudo e, a causa di questa umidità, poco idoneo alle lavorazioni. Questo perché l’evaporazione dallo strato più superficiale del suolo è ostacolata dalla copertura vegetale che trattiene l’umidità. A fine inverno-inizio primavera tale fenomeno non è sempre compensato dalla traspirazione della coltura di copertura. Inoltre mantenere la biomassa in superficie dopo la terminazione della coltura, scelta corretta sotto il profilo agro-ecologico, contribuisce a mantenere umido il terreno. Questo è un aspetto positivo nelle primavere siccitose, ma complica la gestione del processo produttivo in quelle piovose che hanno poche finestre utili per le operazioni di campo. Pertanto bisogna considerare che con le cover crop a ciclo invernale è possibile che a primavera il terreno si trovi fuori dalle condizioni di tempera e quindi non lavorabile o lavorabile solo nello strato più superficiale.
La terza riguarda la potenziale contrapposizione fra costi, tecnica agronomica, risultato conseguito. Da un lato per ridurre i costi si tendono ad adottare tecniche di impianto semplificate, dall’altro però è necessario che la coltura in copertura produca la biomassa attesa e che in questo modo apporti al suolo quei benefici che la giustificano. Infatti, anche se in questo caso non c’è un prodotto in vendita è vero anche che il risultato economico si misura con il miglioramento della fertilità del suolo che possiamo considerare direttamente proporzionale alla quantità di biomassa rilasciata nel terreno.
Nel determinare i vantaggi forniti dalle cover crop, bisogna considerare che, pur fornendo diversi benefici diretti e monetizzabili, come quelli che si manifestano in termini di riduzione degli input colturali (diserbi, concimi azotati e concimi organici in particolare), molti si manifestano sul medio periodo. Il ritorno economico può apparire incerto agli occhi dell’imprenditore che quindi implementa questa coltura in modo da contenere al massimo gli esborsi di denaro. Tuttavia il suo impianto deve essere condotto in modo tale da garantire una uniforme copertura del suolo e una produzione di biomassa adeguata alla tipologia di cover crop impiegata.
Strategie di meccanizzazione
A questo punto è chiaro come sia molto rischioso rinviare a primavera le lavorazioni del terreno previste per la coltura principale, proprio a causa dell’imprevedibilità dell’andamento meteorologico. È quindi consigliabile anticipare le lavorazioni del terreno realizzandole alla prima occasione utile dopo la raccolta della coltura estiva. La tipologia delle lavorazioni del terreno dipende sia dallo stato del suolo e sia dalle esigenze della coltura che sarà seminata nella primavera successiva, sia in termini di porosità che più in generale di fertilità. Bisogna quindi valutare se lo stato del suolo sia stato in parte compromesso dal cantiere della mietitrebbia intervenuta per raccogliere la soia o il mais da granella. Infatti questo cantiere è talvolta costretto ad entrare in campo anche con terreni non sufficientemente portanti, producendo visibili ormaie, sintomi di compattazioni che si possono spingere a profondità di 30-40 cm. In questi casi il ricorso al decompattatore è obbligatorio, perché ha il vantaggio di ripristinare anche in profondità una buona porosità senza creare suole di lavorazione o depauperare la sostanza organica del terreno. Anticipandola all’autunno si dà la possibilità al terreno di recuperare la fertilità e di assorbire l’acqua con maggiore efficacia. Inoltre bisogna sottolineare come le cover crop, non essendoci un prodotto da raccogliere, non prevedono il passaggio di alcun tipo di raccoglitrice sul campo, operazione che spesso genera i maggiori problemi di compattazione. In pratica con le cover crop il rischio di creare condizioni di compattazione è veramente molto basso.
Le lavorazioni successive alla decompattazione possono essere affidate ad erpici a dischi indipendenti in quanto caratterizzati da una eccezionale capacità di lavoro, che in questo contesto si traduce in tempestività. La tempestività è un concetto prezioso per l’imprenditore agricolo perché gli permette di sfruttare i momenti migliori per svolgere le diverse operazioni.
Se non è necessario il ricorso al decompattatore, l’erpice a dischi può essere sostituito da un coltivatore leggero con ampia spaziatura fra le ancore in modo che possa gestire bene il residuo colturale o un combinato ancore e dischi, attrezzatura che riesce a garantire una lavorazione leggermente più profonda (anche attorno ai 20-25 cm se ritenuto necessario) e predisporre in ogni caso il terreno per la semina.
Le semine autunnali non hanno particolari esigenze perché si va incontro ad una stagione caratterizzata da bassa evapotraspirazione. Ciò ovviamente vale anche per le cover crop seminate in questo periodo. Tuttavia vi è una complicazione specifica per questa coltura che merita di essere approfondita e deriva dal frequente (e consigliato) ricorso a miscugli di semi di specie differenti. Specie diverse possono avere semi che differiscono per forma, dimensione, peso, attrito nell’aria, e altri aspetti ancora, che nell’insieme rendono difficile ottenere una semina che rispetti le diverse esigenze di profondità, che non selezioni i semi creando aree dove prevale una o poche specie sulle altre. Per evitare questi non desiderati fenomeni si può ricorrere a strategie e a seminatrici che consentono di superarle.
Effetti della cover crop
Sostanza organica. Gli apporti di sostanza organica di una cover crop ben sviluppata (ipotizziamo con 6 tonnellate per ettaro di biomassa secca) può attestarsi sui 1.200 kg di, di composti humus-simili per ettaro. Reiterare nel tempo le cover crop consente di accumulare ogni anno quella differenza fra gli apporti annui (residui colturali, sovescio, letamazioni, ...) e i processi di decomposizione a carico dell’humus già presente nel terreno, incrementando il contenuto percentuale di sostanza organica sino al raggiungimento di un equilibrio.
Carbon sink. La cover crop sarebbe in grado di apportare al terreno ad ogni ciclo circa 2,5 tonnellate di CO2 per ettaro, capaci di compensare i processi ossidativi naturalmente presenti dovrebbe e di incrementare il carbon sink del suolo (insieme ovviamente ai residui delle altre colture). Introdurre nel ciclo aziendale una coltura da copertura comporta in media l’emissione di circa 0,16-0,24 tonnellate di CO2 per ettaro non attribuendo a questa coltura la lavorazione e l’eventuale concimazione di fondo, interventi realizzati per la coltura che seguirà la cover crop a primavera. L’impiego per la cover crop di seme di provenienza aziendale, qualora ritenuta pratica conveniente, consente una significativa riduzione delle emissioni.
Azoto. L’azione svolta sull’azoto può essere di due tipi: una è di intercettazione delle forme chimiche solubili presenti nella soluzione circolante all’interno del suolo (evitandone la lisciviazione e la denitrificazione), l’altra di azoto fissazione da parte delle leguminose. L’azoto intercettato e quello prodotto sono immagazzinati all’interno della sostanza organica e per questo rilasciato lentamente durante la primavera estate con benefici effetti sulla coltura principale.
Controllo dell’erosione. L’erosione superficiale causata dall’acqua è elevata in condizioni di pendenza, ma si manifesta anche in condizioni di piano dove è sufficiente la pendenza della sistemazione agraria per produrre un asporto di materia nei casi di eventi piovosi di elevata intensità e quantità. La copertura del suolo garantita da una cover crop fitta è in grado di eliminare tali fenomeni, annullando o smorzando l’energia cinetica delle gocce di pioggia e rallentando il run off, ossia il deflusso superficiale dell’acqua di pioggia.
Biopori. I biopori sono formati dalla macrofauna che vive nel terreno, soprattutto lombrichi, e dalle radici delle piante. Le cover crop sono un’ottima occasione per introdurre tipologie di radici diverse fra loro e così in grado di esplorare un più ampio volume creando porosità con caratteristiche diverse. Per questo motivo, quando le condizioni ambientali lo consentono, chi dispone delle tecnologie idonee preferiscono effettuare la semina diretta della coltura principale evitando di lavorare il terreno.
Biomassa vivente. L’abbondanza del residuo vegetale lasciato dalla cover crop e le sue qualità nutritive consentono lo sviluppo di una più complessa e più efficiente rete biologica del suolo, stimola il soil food web e i processi naturali che contribuiscono al controllo dei parassiti.
Azione biocida. Le brassicacee, se presenti nella cover crop, possono aiutare a contenere lo sviluppo di molti patogeni del suolo. Infatti molte specie di questa famiglia botanica hanno un elevato contenuto di glucosidici e glucosinolati che, in presenza di acqua ed attività enzimatica, vengono idrolizzati con produzione di diverse molecole tra cui isotiocianati e nitrili caratterizzati da un’azione biocida nei confronti di nematodi e funghi del terreno. Se si vuole massimizzare l’azione biocida, è necessario ricorrere però all’interramento superficiale dell’intera pianta, secondo la tecnica del sovescio. Alcune varietà sono usate nella lotta contro i nematodi come piante-trappola, e in questo caso la loro azione la esplicano anche durante la coltivazione.
Contenimento infestanti. Il potere rinettante di una coltura fitta è ben noto, ma per godere di questo beneficio è necessario che la coltura di copertura abbia una buona emergenza prima e un rapido sviluppo poi.
Attitudine mellifera. Molte famiglie botaniche, fabacee, brassicacee, borraginacee, utilizzate come cover crop comprendono specie nettarifere che possono contribuire al sostegno degli insetti impollinatori domestici e naturali.